Home LibertatesTribuna La Voce Dei Liberali GIOVANNI FALCONE, E’ PIU’ FACILE ESSERE UN EROE CHE UN GALANTUOMO

GIOVANNI FALCONE, E’ PIU’ FACILE ESSERE UN EROE CHE UN GALANTUOMO

0
12

“I cittadini pensano che la giustizia sia una cosa lontana. Sbagliano.
Capiscono che è un problema terribilmente vicino solo quando gli
tocca entrare in un tribunale”
Giulia Bongiorno

Chico Forti ha rimescolato le carte. “Il destino mescola le carte e noi giochiamo”: ha detto Arthur Shopenhauer. La versione della riflessività non è entrata nella Giustizia, ma la Fallibilità Radicale proposta da George Soros quarant’anni fa sta vedendo la luce negli Stati Uniti grazie al contributo “post-kantiano” delle fondazioni per la Società Aperta di cui Alexander Soros è l’erede. Vedremo se è all’altezza del padre, che è parte delle costellazioni di chi scrive. Ma il punto fondamentale è che non si può ridurre la Giustizia alla ragione, e che riducendola alla ragione ci lasciano le penne gli innocenti. Fiat iustitia et pereat mundus: il maxiprocesso in violazione di tutte le regole – ma proprio tutte – ha provocato gli attentati ai Georgofili, e poi la necessità della trattativa Stato/Mafia (è importante dirlo in occasione dell’anniversario della strage di Capaci che cade il 23 maggio). Ma moriremo di Illuminismo, e questi discorsi in Italia ancora non si possono fare con un eccesso di indignazione che è figlia dell’Età dei Lumi. Oggi, tra le altre cose, sappiamo che Totuccio Contorno rientrò clandestinamente nel novembre del 1988 in Italia violando gli obblighi del programma di protezione. Su Wikipedia alla voce Salvatore Contorno è scritto: “… Nel dicembre del 1988 fece scalpore l’intervista da lui concessa al giornalista Enzo Iacopino del TG1, in cui lanciava velate e inquietanti accuse sui rapporti tra Cosa Nostra, magistratura e politica (cioè a Giovanni Falcone: chi scrive ha ben presente il passaggio dell’intervista con un Iacopino incredulo: “Ma chi può mettere in dubbio la buona fede di Falcone?”, ndr). Nonostante fosse sottoposto a programma di protezione negli Stati Uniti, nel novembre dello stesso anno Contorno aveva fatto segretamente ritorno a Palermo. Per un periodo venne ospitato in un residence nei pressi di Castellamare del Golfo gestito dall’albergatore Paolo Ficalora, il quale era inconsapevole dell’identità del suo ospite ma venne lo stesso assassinato per ritorsione dai Corleonesi il 28 settembre 1992. Nel maggio 1989 Contorno venne infine arrestato in un villino a San Nicola l’Arena insieme al cugino Gaetano Grado dagli uomini del questore Arnaldo La Barbera che trovarono in loro possesso fucili, pistole, divise dei Carabinieri e ricetrasmittenti. La vicenda destò numerose polemiche e una serie di lettere anonime definite giornalisticamente del “Corvo” accusarono i giudici Giovanni Falcone e Giuseppe Ayala, il Capo della Polizia di Stato Vincenzo Parisi e importanti investigatori come Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli di avere “pilotato” il ritorno di Contorno in Sicilia al fine di sterminare i Corleonesi, storici nemici della sua famiglia: infatti si mise in diretta correlazione il rientro di Contorno con una serie di omicidi che effettivamente si erano registrati tra Bagheria e Casteldaccia proprio in quei mesi ai danni di persone legate alle cosche dei corleonesi…”.

Sono fatti gravissimi, come ad un lettore attento non può sfuggire. La mafia e l’antimafia rivaleggiano in parità, ma è una constatazione “post-illuminista” che uomini del fanatismo di Di Matteo e Saverio Lodato respingono dalla loro visione codificata e schematica con i colori della frustrazione. Resta il fatto che il rientro clandestino in Italia dell’uomo d’onore Totuccio Contorno, tanto collaboratore di giustizia quanto “man of honor”, aveva provocato l’uccisione di un albergatore. Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo? Ok, ammettiamo la bontà del fine (anche se Dario Fertilio avrebbe da ridire); muoiono però degli innocenti, ed è l’effetto collaterale della violazione delle regole sull’altare della Iustitia. Capite perché dobbiamo diventare Fallibili e accettare che l’epoca apertasi nel 1789 è finita? “Cambiano i fatti, cambio le mie opinioni”, diceva John Maynard Keynes. Che dire dell’arresto di Matteo Messina Denaro? E prima di Denaro dei fratelli Graviano? E prima ancora di Totò Riina? The Departed, il Bene e il Male fanno patta.
Nell’agosto del 1989, 58 candelotti di esplosivo inutilizzato vennero ritrovati tra gli scogli dell’Addaura, dove c’era una villa affittata da Giovanni Falcone per le vacanze; gli allora vertici del commissariato anti-mafia Domenico Sica e Francesco Misiani, ma anche Luciano Violante sospettavano che fossero stati piazzati da Salvatore Contorno su mandato dell’“utilizzatore finale”. Di questo, però, è bene non parlare. Ma sono le matrioske di un cold case. E l’“autopsia psicologica” – badate bene – non è di moda nel nostro Paese.
Basta leggere gli articoli di Salvo Palazzolo su “la Repubblica” per accorgersi – dalla pubblicazione dei verbali – che Violante aveva dei dubbi, mentre interrogava il collaboratore di giustizia tuttofare.
Ci vorrebbe James Ellroy, e questo l’ho già scritto, ma ci vorrebbe anche Leonardo Sciascia.
La santificazione post-mortem dell’intoccabile sostituisce l’iconizzazione con la reale rappresentazione dei fatti. Così è se vi pare. Ma del resto, Luigi Pirandello aveva detto: “E’ molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’essere sempre.” “Giovanni Falcone era considerato il magistrato antimafia per eccellenza. Non credo che fosse l’unico. Né l’unico né il più importante. Falcone inizialmente è stato amato, poi quando si accorsero che forse il suo entusiasmo, la sua campagna ideologica non erano tutte disinteressate ma ispirate dal desiderio di fare carriera, allora nell’ambiente cominciò a decadere nella considerazione almeno di una parte dell’opinione pubblica. Era inevitabile che questa sua campagna ideologica gli portasse dei nemici, anche se non credo che Falcone avesse tutti questi nemici di cui si parla. Aveva i suoi esaltatori e i suoi critici, come accade per qualunque persona. Ma quello che vorrei dire è che Falcone è stato esaltato al di là dei suoi meriti effettivi”. Sottoporrei le affermazioni importanti di Corrado Carnevale, pronunziate il 24 maggio 2022, all’attenzione di un uomo intelligentissimo come Calogero Mannino. Ma c’è di più. Il magistrato ex componente del pool Giuseppe Di Lello confessò la trattativa tra Tommaso Buscetta e Giovanni Falcone che è il lato oscuro del maxi-ter; la dichiarazione in questione è tratta dall’articolo di Piero Sansonetti “Parla l’ex del Pool – Il vice di Falcone rade al suolo il processo Stato mafia, per Peppino Di Lello è stato “un romanzone” su “Il Riformista”: “… Io domando: la relazione che lo Stato cerca con i collaboratori di giustizia non è essa stessa una trattativa? Certamente, è una trattativa istituzionalizzata, codificata. E ha consentito molti successi nella lotta alla mafia. Ricordo che Tommaso Buscetta mise immediatamente, già nei primissimi colloqui con Falcone, le mani avanti. Disse: “Io di me non parlerò mai”. E infatti non disse nulla dei suoi traffici di droga e dei suoi omicidi. E purtuttavia la sua è stata una collaborazione fondamentale, com’è noto a tutti per la storia del maxi processo. Anche quella fu una trattativa. Gli dicemmo: “Va bene Buscetta, dei fatti tuoi non parliamo e andiamo avanti. Dicci tutto quello che sai su tutto il resto”. Poi Buscetta si è tenuto i soldi – miliardi – della droga, insieme ai suoi familiari più qualcun altro. Che un superteste accusò di far parte del livello riservato della mafia. Come ha scritto anche – ma non solo – Tiziana Maiolo, l’ordinanza del maxi-ter violava l’assunto dell’art. 27 Cost.: la “responsabilità penale è personale”; Rudolph Giuliani perdeva la scommessa del maxiprocesso americano; può sembrare assurdo, ma me ne resi conto per la prima volta a 14 anni (sic!). “Dall’interno è tutto normale”: ha detto Maurizio Raggio. Fu molti anni dopo il consulente giuridico di Bettino Craxi a darmi quegli elementi che non avevo. Il tempo è galantuomo; Rudolph Giuliani non aveva prove robuste. I teoremi contano meno delle prove. E, tra l’altro, la convivenza americana non è saltata a colpi di bombe.
Vedete? Lo sfondo della Giustizia che è nelle “realtà oggettive” – non è il regno di Immanuel Kant – è la Fallibilità Radicale, non l’illusione o la presunzione di ridurre il giudiziario alla ragione. Falcone e Buscetta rivaleggiavano in parità. Falcone moriva con i cinque agenti della sua scorta, con tutte queste contraddizioni che fanno parte, tra l’altro, del cold case, o moriva per queste contraddizioni. Non dimentichiamoci che l’alternativa alla strage di Capaci era il rapimento dei figli di Giulio Andreotti e l’inizio di un’escalation alla Pablo Escobar. Per fortuna, non è successo. Ma in guerra non si fanno prigionieri. Mi chiedo se Capaci non sia il prezzo alla democrazia.

Queste riflessioni costituiscono il travaso della Storia nel presente. Il Guardasigilli Carlo Nordio, che forse come scrivono Massimo Giannini e Massimo Fini è guidato da un inferiority complex verso gli ex colleghi di Magistratura, è schiacciato sul “punto di equilibrio” tra Immanuel Kant e George Soros. I suoi margini di manovra nell’illuminazione della hybris sono tecnicamente pari a zero, con la probabile complicanza dell’Asperger: un’estraneità tout court alla logica. Più le cose cambiano, più restano uguali. La montagna partorisce il topolino. E l’ispirazione si rovescia nella frustrazione.
Scrive kantianamente Giuliano Foschini nel suo atto d’accusa “Aiuti ai politici corrotti e attacchi ai giudici. La nuova destra distorce il diritto” su “la Repubblica” del 18 maggio 2024: “Ordinamento giudiziario. Il Pm è distinto”. Sono passati poco meno di 50 anni da quando Licio Gelli scrisse uno dei suoi capisaldi del Piano di rinascita, il manifesto della P2. Ecco, ora ci siamo quasi. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha spiegato che è arrivato il tempo della separazione delle carriere, ultimo passaggio di una proposta confusa (una proposta oggi, una smentita domani) per la realizzazione di un piano preciso di una nuova idea di giustizia. Che, al di là dei proclami (più veloce, più efficiente, intransigente), a detta degli addetti ai lavori si sta dimostrando una giustizia di classe. Debolissima con i forti e forte con i deboli. La separazione (e la separazione è sempre un lutto, viene da aggiungere, ndr) Partiamo da quanto sta accadendo in queste settimane. Dall’annuncio, cioè, della premier Giorgia Meloni dell’avvio di una riforma costituzionale che avrà due punti cruciali: la separazione delle carriere, la modifica del funzionamento del Consiglio
superiore della magistratura. E forse, anche, la cancellazione di uno dei capisaldi del nostro sistema: l’obbligatorietà dell’azione penale. La separazione, come detto, è stata una bandiera di Gelli ripresa in mano da Silvio Berlusconi e da Forza Italia. Che mai, però, ebbe la forza e il coraggio di metterla in pratica (mi viene in mente il senatore Luigi Compagna che a casa di Diana De Feo mi spiegò, il 10 gennaio 2013, che a Berlusconi della separazione delle carriere non fregava niente, ndr). Il perché è ben spiegato da quanto sta accadendo in queste ore. “Tutta la magistratura associata è contraria alla riforma”, ha detto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, raccogliendo l’appoggio e, anzi, l’incoraggiamento ad alzare le barricate da tutti i gruppi. Da Magistratura indipendente – assai dialogante con questo Governo anche grazie alla figura del sottosegretario alla presidenza, Alfredo Mantovano – ai “duri” di Area, da Unicost agli indipendenti, non si è alzata una parola di consenso a quello che viene considerato “un attacco alla Costituzione”. Ma perché? Quella dei magistrati è soltanto una difesa di classe? O è invece una difesa, nel delicato equilibrio tra i poteri dello stato, dell’indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo? “La separazione delle carriere fra pm e giudici – spiega Ciccia Zaccaro, segretario di Area – nei fatti avrà due effetti: indebolire il ruolo terzo del pubblico ministero e rafforzare invece quello della polizia giudiziaria. Mi chiedo: il cittadino che beneficio ne avrà? Otterrà così una giustizia, più efficiente, veloce, giusta? Assolutamente no. A trarre beneficio sarà soltanto il potere esecutivo che si sottrarrà dal controllo. E al contrario potrà esercitare sulla polizia giudiziaria un potere di controllo e indirizzo che, invece, non hanno e non possono avere sui magistrati. A pagare prezzo, non saremo noi. Ma i cittadini che avranno meno garanzie rispetto a un giusto processo, sin dalla fase delle indagini. E una burocrazia sempre più forte: due Csm, due corpi giudiziari”…”

E’ davvero così? Tanto per cominciare, la separazione delle carriere non è collegabile in termini di nesso con la cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale: non è ideologicamente riducibile come un vulnus alla Costituzione, se non con il trucco delle deduzioni sorrette dall’“errore intenzionale nell’argomentazione”. E’ nelle “realtà oggettive”. “A trarre beneficio sarà soltanto il potere esecutivo che si sottrarrà dal controllo. E al contrario potrà esercitare sulla polizia giudiziaria un potere di controllo e indirizzo che, invece, non hanno e non possono avere sui magistrati…”: non è vero. Controllo del Parlamento sull’ufficio del Pubblico Ministero significa potenziarlo all’interno di una razionalizzazione delle sue attività. Come lo stesso Piergiorgio Morosini ha confermato, reo confesso della quasi approvazione della riforma Nordio.
C’è di più. Se l’art. 112 Costituzione è portato al “punto di equilibrio”, favorisce il crimine; ve ne do la dimostrazione in termini “probanti”, ma la mia è una presunzione kantiana. Resta il fatto che le dichiarazioni di Alfredo Morvillo a Il Fatto Quotidiano appaiono narcisisticamente eccessive.
Come mai non è stato interpellato Giuseppe Di Federico dallo stesso giornale?

Nel procedimento nr. 11719/12 R.G.N.R.DDA Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo Al Signor Giudice della Udienza Preliminare Dott. Piergiorgio Morosini Oggetto: Memoria a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio depositato nel processo sulla trattativa Stato/Cosa Nostra, si legge: “… In questo contesto, si inserisce la contestazione di falsa testimonianza a carico dell’odierno imputato Nicola Mancino. E’ sicuramente emerso che chi condusse la trattativa fece un’attenta valutazione: il Ministro dell’Interno in carica Vincenzo Scotti era ritenuto un potenziale ostacolo, mentre Mancino veniva ritenuto più utile in quanto considerato più facilmente influenzabile da politici della sua stessa corrente, ed artefice della trattativa come il coimputato Mannino, e da chi lo circondava, a cominciare dal Capo della Polizia Parisi. E rispetto al ruolo di quest’ultimo, va evidenziato il dato, non trascurabile, che mentre i primi approcci della trattativa erano nati su iniziativa ed ispirazione di chi poteva avere un interesse immediato e personale, in quanto più esposto, nel frattempo il quadro si era aggravato perché all’omicidio Lima aveva fatto seguito la strage di Capaci. E quindi l’affare non riguardava più solo la sorte dei politici, ma l’intero Stato. E’ il momento in cui irrompe sulla scena una male intesa (e perciò mai dichiarata) Ragion di Stato che fornisce apparente legittimazione alla trattativa e che coinvolge sempre più ampi e
superiori livelli istituzionali. Ed invero, anche l’ex Guardasigilli Claudio Martelli, percepito anche lui come un ostacolo alla trattativa, finisce per essere politicamente eliminato (anche per effetto di un’inusuale collaborazione giudiziaria del capo della P2 Licio Gelli) più in là nel ’93, quando si tratta di ammorbidire il 41 bis. E, nello stesso contesto temporale, viene tolto di scena anche il capo del Dap Nicolò Amato, ritenuto inizialmente un possibile strumento utile e inconsapevole della trattativa per il suo acceso garantismo, ma poi diventato inaffidabile, anche per avere messo inopinatamente nero su bianco (in una sua nota del 6 marzo 1993 indirizzata al neo-Ministro Conso) che Parisi aveva espresso “riserve” sull’eccessiva durezza del 41 bis, a margine della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica del 12 febbraio 1993…”.

Ecco come art. 112 della Costituzione – che il docente di ordinamento giuridico Giuseppe Di Federico contesta, ma a mio avviso va razionalizzato e non abrogato – e la criminalità organizzata nel triangolo di rapporti Ciancimino – Cinà – Riina, s’incontrano. E’ la vittoria dell’obbligatorietà dell’azione penale? Ci vuole un minimo di onestà intellettuale, non credo proprio! Licio Gelli, proprietario del Conto Protezione del Banco Ambrosiano di 120 milioni di dollari, etero-dirigeva l’avviso di garanzia a Claudio Martelli; il depotenziamento del 41-bis a 480 boss mafiosi firmato dal Guardasigilli Giovanni Conso corrispondeva a uno dei punti qualificanti del “papello” di Riina.
Questi stessi fatti paradossalmente si collegano all’ottima intervista ad Antonio Di Pietro, il Nikita Krusciov della magistratura italiana – intelligenza e cultura sono due cose diverse – a Giuseppe China per Il Tempo.it: l’onorevole Bobo Craxi, uomo dal formidabile curriculum vitae, è d’accordo con chi scrive: “… Le indispensabili premesse, a mio giudizio inamovibili, a tale ipotesi di riforma sono l’indipendenza della magistratura dagli altri poteri e l’articolo 111 della Costituzione (di cui il padre putativo è Cesare Previti, ndr). Concetti chiari per i quali mi domando perché non debbo avere carriere separate tra pm e magistrati giudicanti? Anche perché allo stato attuale è lecito, nonostante la buona fede, generare su chi deve essere giudicato il dubbio che la toga abbia un pregiudizio culturale di formazione”…”

Sottoscrivo tout court. E’ possibile un’alleanza tra Di Pietro e Soros?
Diventeremo Fallibili, a quale prezzo…

di Alexander Bush

Articolo precedenteL’eterna querelle pubblico-privato in sanità
wp_user_avatar
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.