E’ presumibile che tanti, anche vicini ai nostri valori, non abbiano conosciuto il filosofo Giuseppe Brescia, amico e compagno di strada in molti viaggi. Per questo ne parliamo qui e gli rendiamo onore, addolorati per la sua improvvisa scomparsa. Chi è liberale può averlo incontrato in occasione dei convegni organizzati dai Comitati per le Libertà, nei quali si affermava una certa idea di mercato, scuola, sanità, impresa, eccetera, esente dagli statalismi e dai conformismi correnti.
La sua morte ci rende tutti più poveri, perché in lui la spontaneità comunicativa, unita a una ironia sottile e a una calda solidarietà umana, si coniugava in maniera singolare con la vastità del campo di ricerca, eclettico e percorso da lampi di genialità. Non era tanto la sua originale interpretazione di filosofi noti come Vico e Croce, o più appartati come Franchini, a generare il timbro inconfondibile della sua personalità. Era piuttosto il metodo di lavoro, caratterizzato dalla complessità fluviale dei rimandi, da un argomento e un personaggio all’altro, tale da non conoscere confini. Da Joyce a Orwell, da Dante a David Bowie, dalla politica all’architettura medievale, Giuseppe Brescia accendeva fuochi interpretativi sorprendenti, analogici, a volte visionari, capaci però di illuminare angoli bui e trascurati della vita culturale.
Uno dei suoi capisaldi “ermeneutici” – come li chiamava – era ad esempio il concetto di “quaternità”. Derivandolo da Vico, il numero quattro rappresentava per lui un simbolo di pienezza e totalità, capace di racchiudere in sè il ritmo della natura e dello spirito. La sua quaternità si identificava con il “tre più uno”, in cui il quarto elemento rappresenta il tempo della rigenerazione, simile a quella che ha luogo nell’inverno, in preparazione delle altre tre stagioni. O anche la croce, che contiene in sè la vastità dell’esperienza, aperta non solo alla universalità e al futuro umano, ma anche alla dimensione dell’eternità.
La filosofia di Giuseppe Brescia costituiva insomma una specie di sorgente sotterranea di energia, che si sprigionava e dava valore alle prese di posizione pratiche, quotidiane, come l’impegno per la cultura delle libertà, il rifiuto della menzogna nel campo dei mass media, il “soccorso blu” – così lo aveva battezzato, perorando la solidarietà e la fratellanza fra i difensori del pensiero critico, non allineato. In tempi di pandemia politica e collettivismo ideologico, Brescia era capace di alzarsi solitario in mezzo a un pubblico di conformisti e proclamare senza paura che qualsiasi re, anche ammantato di certezze taumaturgiche, è intimamente nudo. Leggere i suoi saggi più significativi, come “Le radici dell’Occidente“, “Il vivente originario” o “Forme della vita, modi della complessità” (tutti pubblicati da LbertatesLibri) equivale oggi a sedere in una sala da concerto e lasciarsi attraversare dai ignoti temi musicali, senza sapere dove ci condurranno, ma fiduciosi di scoprirvi qualcosa che rimanda a noi stessi, e di cui non sospettavamo l’esistenza.
di Dario Fertilio