Nell’offerta di acquisto di Unicredit verso Bpm lo Stato ha calato il golden power: lo ha fatto dando il via libera con condizionamenti pesanti.
Ma qual è lo scopo del golden power? La legge recita che la sua attuazione è consentita “in caso di minaccia di grave pregiudizio” per gli interessi pubblici “tenendo conto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza”.
Orbene, qual’è la minaccia all’interesse pubblico nel caso di una fusione tra banche italiane ad opera di una società di diritto e sede italiane, quando negli stessi giorni si è deciso che nulla osta alla scalata di Mps a Mediobanca?
Guardando in particolare le richieste:
in una si richiede che Unicredit si impegni per cinque anni a non dismettere gli investimenti di Anima (la società di investimento di Bpm) in titoli italiani. In questi anni cosa succederebbe se, ad esempio, calassero i titoli italiani e aumentassero quelli americani? La società di gestione non potrebbe fare nessuna operazione, lasciando che gli investitori perdano il loro capitale: bell’esempio di libero mercato.
In un altro caso Unicredit ha un ratio (rapporto tra capitale e prestiti) del 94% (all’incirca come Banca Intesa), mentre Bpm ha un ratio di 125%: cioè presta più soldi di quanto abbia in cassa. Ebbene cosa prescrive il golden power? Che questo rapporto non si possa modificare per cinque anni, lasciando in essere una situazione potenzialmente di pericolo.
Cosa ha tutto questo a che vedere con il libero mercato?
Nulla: è vero e proprio statalismo e dirigismo, grazie al quale lo Stato decide quali banche e come si possano fondere, alla faccia dei diritti degli azionisti a cui spetterebbe l’ultima parola dato che si tratta di soldi loro.
Si è insomma passati dallo statalismo della sinistra (tanto deprecato da un centro destra liberista) allo statalismo di destra: altrettanto ostile al libero mercato.
Ma perché si è arrivati a tutto questo? Forse perché il Bpm è una banca molto vicina alla Lega e, pur di non farla arrivare a una public company, meglio far saltare tutto.
E poi ci meravigliamo se i capitali esteri stanno alla larga dall’Italia?
di Angelo Gazzaniga