Il polacco Gustaw Herling ( Kielce 1919 – Napoli 2004), andando oltre la teoria kantiana del “male radicale”( esposta ne La religione nei limiti della sola ragione), confida e ragiona la tesi del “male assoluto”: il comunismo, che ha realizzato un “sistema assai più evoluto e raffinato del nazismo”. “L’essenza di questo sistema così particolare ai miei occhi si riassume nella parola raffinatezza”. E inoltre: “Per questo lo scontro, qui da voi, ha assunto una portata che va molto al di là della cosiddetta alternanza, regola primaria di qualsiasi democrazia” ( cfr.”Gustaw, forse vivrai ma non avrai voglia di fare l’amore”, Intervista al “Foglio” del 10 maggio 1996: “Ma questa è la mia vita”, nella confessione a Silvio Perrella, Prefazione a George Orwell, Nel ventre della balena, Milano 1996; dalla nostra Filosofia del giusto – Psicologia del profondo, Bari 2001 ai “prolegomeni” dei Conti con il male). Il carattere “epocale”, da “fine della civiltà”insiste, dopo il Mondo a parte del ’51 e gli altri testi etico-politici, nella narrativa delle Perle di Vermeer ( Fazi, 1997 ), nel Diario scritto di notte (1992) e nei racconti di Ritratto veneziano ( 1995), sino alla Conversazione sul male, concessa a Emma Giammattei ( Napoli, 2000) e alla Conversazione su Salamov: “Ricordare, ricordare”, tessuta con Piero Sinatti ( L’Ancora, Napoli 1999), a seguito del rifiuto opposto da Einaudi alla sua propria e “politically uncorrect” prefazione a Primo Levi.
Ne “La torre e l’isola”, Herling dipinge uno scenario complesso e strutturato su più livelli ( l’ufficiale polacco sosta nel 1945 presso Aosta, nella torre trova la stampa più piccola del Piranesi che effigia la seconda torre, la torre del lebbroso della Città d’Aosta di cui aveva narrato il libretto di Xavier De Maistre, il precedente inquilino ha lasciato delle chiose sul libretto che aprono altri spiragli sul “Perché” del “Perché” ). Come nel saggio sulle “Carceri” del Piranesi, citato da Herling, Aldous Huxley scrive che esse esprimono una “inutilità perfetta”: “Le scale non conducono in nessun posto, le travi non reggono nulla”, così alla fine del suo racconto sovratemporale lo scrittore-filosofo in nuce conclude: “La saggezza popolare ha avvolto nella leggenda la figura del pellegrino di pietra: si vuole che ogni anno egli avanzi sulle ginocchia per la lunghezza di un seme di papavero, e che, quando arriverà alla cima di Santa Croce, sarà la fine del mondo” ( Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva. II.Da Kant al postmoderno, Bari 2000, Sezione XVI.V, pp.284-288). Eppure: “Esiste inoltre, nelle più gravi sciagure, una felicità che la maggioranza degli uomini non riesce a comprendere: la felicità di vivere e di respirare” ( Due racconti. La torre. Il miracolo, ed. Scheiwiller, Milano 1990, p.34)
Che è la risorsa vitale minima evocata da Herling. Ma un’altra “piccola crepa”, o “piccola fenditura” si apre nella percezione di “male assoluto”, sofferta dal nostro, allorchè scrive la Postfazione a Joseph Czapskj, La morte indifferente. Proust nel gulag (1987), con Prefazione di Edith de la Heronnière ( e con quattro immagini del campo, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2005). Notevolmente nel gulag, i moderni martiri della libertà trovano conforto con la ripetuta lettura di Marcel Proust. Il narratore e sodale polacco ci affida, con la sua interpretazione dello scrittore francese, un più profondo messaggio esistenziale : “Riscontriamo un’assenza talmente assoluta di partito preso, una volontà di conoscere e comprendere gli stati d’animo più disparati, una capacità di scoprire nell’uomo più vile i gesti nobili al limite del sublime, e negli esseri più puri le reazioni più meschine, che la sua opera agisce su di noi come la vita filtrata e illuminata da una coscienza la cui precisione è infinitamente più grande della nostra” ( op. cit., p. 62).
Così, la nostalgia dell’umana gentilezza ( l’ “assenza di partito preso”) comporta la magnanimità, la vastità della dialettica affettiva, e poi, come caso ma incremento particolare, la percezione di individuare anche “nell’uomo più vili i gesti nobili al limite del sublime”. Ed è l’equivalente del “rimorso” nella donna di Voltaire, della piccola “crepa” nel totalitarismo visto da Grossman, o del male che non finisce le sue opere per Rosmini.
Giuseppe Brescia