A preoccupare non è tanto il finanziamento illecito a un partito, quanto la deriva ideologica
Il titolo della copertina de l’Espresso del 24 febbraio 2019 non è mai stato azzeccato come questa volta: “Esclusivo – 3 milioni per Salvini – L’incontro segreto del ministro a Mosca. E la trattativa tra gli uomini di Putin e i suoi per finanziare la Lega. Obiettivo: far vincere i sovranisti alle elezioni europee”. Già, perché i soldi, i piccioli, o i quattrini – in questa storia – non c’entrano niente. Si tratta del virus dell’Ideologia, che continua a manifestarsi nella sua diabolica potenza dalla birreria di Monaco dove Adolf Hitler, uno schizofrenico, imitava cento anni fa i discorsi di Feder contro la signoria del capitalismo internazionale all’asse Putin-Salvini. E oggi questa maledizione si ripete con il progetto dell’“oligarca di Dio” Konstantin Valerivich Malofeev della Grande Scuola di San Basilio, enunciato con tanto di caffè espresso dal vicepremier russo con delega all’Energia Dmitry Kozak al Ministro degli Interni Matteo Salvini nel loro incontro kafkiano all’Hotel Metropol di Mosca alle 9.30 del mattino del 19 ottobre 2018– nella “neutralità attiva e operante” del garante del contratto 5 Stelle/Lega Giuseppe Conte: “La nuova Europa deve essere vicina alla Russia. Non dobbiamo più dipendere dalle decisioni di illuminati a Bruxelles o in Usa. Vogliamo cambiare l’Europa insieme ai nostri alleati come Heinz-Christian Strache in Austria, Alternative fur Deutschland in Germania, la signora Le Pen in Francia, Oràn in Ungheria, Sverigedemokraterna in Svezia”. Come scrivono molto opportunamente Giovanni Tizian e Stefano Vergine a proposito del fedelissimo di Vladimir Putin Malofeev soprannominato “l’oligarca di Dio”, qui non sono gli affari a preoccupare più di tanto (benchè in odore di corruzione): “Paradisi fiscali dove i capitali sono anonimi e possono circolare con estrema facilità. Ma questa non è una novità per oligarchi del suo calibro. Ciò che colpisce è l’ideologia del personaggio. E le sue connessioni con diversi sovranisti europei di estrema destra… Il filosofo di Putin – Malofeev sa che per realizzare il suo ambizioso progetto politico deve convincere anche le èlite, in patria ma soprattutto all’estero. Perché a livello internazionale l’obiettivo è quello di formare un nuovo continente, un nuovo blocco geopolitico guidato da Mosca: l’Eurasia. Una delle strutture create dal miliardario con questo obiettivo è il “centro analitico” Katehon, uno sito in varie lingue che diffonde il conservatorismo dell’estrema destra sovranista in tutta Europa. Tra i collaboratori di Katehon c’è ad esempio Marine Le Pen, la leader francese del Front National, alleata da tempo con Salvini…”. Tutto chiaro adesso?
Sembra di essere nel film Mai dire mai di James Bond con Barbara Carrera e Sean Connery, ma purtroppo è tutto vero: questi personaggi da clinica psichiatrica creano la Spectre proclamando che il loro obiettivo è distruggere la Spectre. L’antidoto c’è, e sta nell’ultimo sforzo dello studioso Alberto Mingardi, un libro di notevole importanza: “La verità, vi prego, sul neoliberismo – Il poco che c’è, il tanto che manca”. Tradotto: soltanto il Libero Mercato ci salverà. Ma purtroppo le cose si mettono assai male da quando il cosmopolita George Soros ha fallito il suo progetto nobile di creare la cosiddetta “società aperta” in Russia; dal fallimento delle terapie politiche e finanziarie di una mente finissima e geniale come quella del fondatore della Soros Fund Management deriva l’attuale pericolosissima egemonia dei sovranisti in giro per l’Occidente con tutti i danni che già essi stanno seminando: il ritorno del protezionismo, la famigerata “luna dello Stato padrone” in economia (vedi Marianna Mazzacuto) e la guerra ai venture capitalists, cioè coloro che credono nella libertà d’impresa fondata sul rischio di capitale. Può essere estremamente utile ai lettori, allora, lasciare la parola allo stesso George Soros nel suo libro La crisi del capitalismo globale pubblicato nel 1999 alla voce La Russia. Una lezione per i posteri. Perché Soros ha provato a
salvare la Russia, ma non c’è riuscito:
“Anche la Russia è stata vittima della crisi asiatica, ma il suo caso è totalmente insolito che merita una considerazione a parte. Personalmente, sono stato più coinvolto in Russia che in altri paesi. La Russia era passata da un estremo all’altro: da una società chiusa e rigida a un capitalismo privo di leggi. La violenza del passaggio avrebbe potuto essere attutita dal mondo libero, se quest’ultimo avesse capito che cosa stava accadendo e se avesse creduto nell’ideale di società aperta; ma è inutile piangere sul latte versato. Il sistema sociale chiuso più esteso mai inventato dall’uomo si èdisintegrato e nessun altro sistema ne ha preso il caos. Alla fine, l’ordine ha cominciato a emergere dal caos, ma purtroppo rassomigliava poco all’idea di una società aperta.
Michail Gorbaciov aveva innescato un processo di cambiamento rivoluzionario nel regime, e riuscì a gestirlo – spesso scavalcando l’apparato dello Stato-partito proprio nel momento in cui esso stava per metterlo con le spalle al muro –, ma indietreggiò davanti a due problemi: la privatizzazione delle terre e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Quando ha perso il potere e l’Unione Sovietica si è disintegrata, è diventato presidente della Russia un uomo come Boris Eltsin, che era disposto ad andare molto oltre. Prima di tutto ha sostenuto la nomina a vice Primo ministro, responsabile per l’economia, di Egor Gajdar, il quale ha tentato di applicare norme di politica monetaria a un’economia che non obbediva ai segnali monetari. L’uscita di scena di Gajadar è stata seguita da un difficile numero acrobatico in cui Anatolij Cubais è riuscito a far approvare quella che era la sua priorità, cioè il trasferimento delle proprietà dallo Stato ai privati. Cubais era convinto che una volta che le proprietà statali fossero passate in mano ai privati, i nuovi proprietari avrebbero cominciato a proteggere i propri beni e il processo di disintegrazione si sarebbe arrestato.
Da questi sforzi ha cominciato a emergere un embrione di nuovo ordine economico. Si trattava di una forma di capitalismo, ma molto particolare, ed è sorta seguendo una sequenza diversa da quella che ci si sarebbe potuti aspettare in condizioni normali. La prima privatizzazioneè stata quella della Pubblica sicurezza, e per certi versi è stata la più riuscita: il potere è andato a una miriade di eserciti privati e di mafie. Le imprese di Stato si sono adeguate alle mutate condizioni creando società private, specialmente a Cipro, che stipulavano contratti con le imprese stesse. Le loro fabbriche funzionavano in perdita, non pagavano le tasse e sono andate in arretrato con i pagamenti dei salari e con il saldo dei debiti verso altre imprese. Il contante ricavato dalle operazioni veniva spedito a Cipro. Sono stati così formati – in parte da banche di proprietà dello Stato, in parte da gruppi capitalistici emergenti, i cosiddetti oligarchi – gli embrioni di un sistema bancario. Alcune banche hanno fatto fortuna gestendo i conti di vari enti statali, compreso il Tesoro. Poi, in collegamento con questo piano di privatizzazione documentato, è nato un mercato azionario prima ancora che venissero istituiti i registri dei titoli e i meccanismi di compensazione necessari, e molto prima che le imprese, le cui azioni venivano scambiate, cominciassero a comportarsi da imprese. In molti casi, le aziende sono finite sotto il controllo di insiders, e gli azionisti esterni hanno avuto grandi difficoltà a esercitare i propri diritti. I manager in carica sono stati praticamente costretti ad attingere agli utili e ai capitali a proprio vantaggio personale, in parte per pagare le azioni che avevano acquistato, in parte per evitare le tasse. Alle imprese non è venuto alcun vantaggio da questo piano di privatizzazione. Soltanto dopo che i manager avevano consolidato il proprio controllo e riconosciuto la necessità di raccogliere capitali addizionali, le imprese hanno potuto cominciato a generare utili. Ma solo poche hanno raggiunto questa fase.
Un quadro del genere si potrebbe giustamente descrivere come “capitalismo di rapina”, perché il modo più efficace per accumulare capitali privati partendo quasi da zero era appropriarsi del patrimonio dello Stato. Naturalmente, vi sono state delle eccezioni”. Fermiamoci un momento: per ammissione dello stesso Soros, la formazione precapitalistica di un crony capitalism (capitalismo di rapina) era endogena alle condizioni storiche dell’arretrata Russia post-sovietica per la incorreggibile anormalità delle sue condizioni di partenza, ma è innegabile ex post che il disastro è stato commesso dal presunto riformatore Gorbaciov il quale rifiutò ostinatamente la privatizzazione delle terre all’interno del dispositivo di Glasnost e Perestrojka nel sogno inconfessato di mantenere in vita l’Urss; così Eltsin soprannominato il Padrino di Mosca e oggi lo zar Vladimir Putin ne hanno approfittato alla grande (Brzezinsky dixit a Euronews: “Putin vuole ricostruire l’Urss”): “Lo Stato stesso aveva scarso valore, anche se i cospiratori che hanno tentato di rovesciare Gorbaciov nel 1991 non l’avevano capito. In ogni caso, una volta accumulate sufficienti proprietà private, anche lo Stato ha acquistato valore, perché era la fonte della legittimità. Nel 1996, i primi sette capitalisti della Russia, che fra l’altro controllavano gli organi d’informazione, hanno deciso di collaborare fra loro per assicurarsi la rielezione del presidente Eltsin. Una notevole impresa di ingegneria politica. Successivamente, la recente oligarchia è passata a spartirsi il rimanente patrimonio dello Stato. Nella primavera del 1997, Eltsin ha deciso di fare entrare nel governo Boris Nemtsov, il governatore di Niznij Novgorod, di orientamento riformista, la cui reputazione era rimasta immacolata anche dopo la campagna per la rielezione. Sono stati compiuti vari passi per preparare il passaggio dal capitalismo di rapina allo stato di diritto. Il deficit di bilancio e la massa monetaria circolante sono stati messi sotto controllo e si è cominciato a riscuotere le imposte arretrate. L’inflazione e i tassi d’interesse sono calati. I diritti degli azionisti hanno cominciato a venire rispettati e il mercato azionario ha conosciuto un boom: ha cominciato così ad affluire valuta straniera che si è riversata sia nelle azioni che nei titoli di debito.
Io avevo creato una fondazione in Russia già nel 1987, per favorire la transizione a una società aperta. Nel 1988-89 ho organizzato un gruppo di lavoro internazionale per creare un “settore aperto” in seno all’economia dirigistica, ma ben presto mi è divenuto chiaro che il sistema era incorreggibile. Ho dato la mia assistenza al cosiddetto “programma dei 500 giorni” e nel 1990 ho condotto il suo artefice, Grigorij Javlinskij, e la sua squadra alla riunione di Washington fra Fondo monetario internazionale e Banca Mondiale per raccogliere un appoggio internazionale, ma invano”. Purtroppo la “mano invisibile” di Gorbaciov mandò all’aria i propositi della Soros Fund Management, altro che Glasnost! “Ho istituito la International Scienze Foundation con una sovvenzione di cento milioni di dollari per dimostrare che l’assistenza estera può essere efficace. Abbiamo distribuito a quarantamila scienziati di punta venti milioni di dollari, in un’epoca in cui in Russia ne bastavano cinquecento per vivere un anno. Il resto è servito a finanziare le comunicazioni elettroniche e l’acquisto di letteratura scientifica, e a sostenere programmi di ricerca selezionati da un gruppo internazionale di scienziati. Nel frattempo, la fondazione che avevo istituito nel 1987 intraprendeva una gamma estremamente vasta di attività, fra cui le piùimportanti sono state la riforma scolastica, la pubblicazione di nuovi testi liberi dall’ideologia marxista e l’introduzione in Russia di Internet.
Mi sono astenuto dall’investire in Russia, in parte per evitare qualsiasi problema di conflitto di interessi, ma soprattutto perché quel che vedevo non mi piaceva. Non ho interferito con i gestori del mio fondo, che volevano investire, e ho anche approvato la nostra partecipazione a un fondo d’investimento a gestione russa su un piano di parità con altri investitori occidentali. Tuttavia, quando Nemtsov è entrato a far parte del governo, ho deciso di partecipare all’asta della Svyazinvest, la holding di Stato della telefonia. La privatizzazione della Svyazinvest è stata la prima vera vendita all’asta in cui lo Stato non sia stato bidonato. Disgraziatamente, ha avuto l’effetto di innescare una dura e prolungata lotta fra gli oligarchi, alcuni dei quali non vedevano l’ora di compiere la transizione a un capitalismo legale, mentre altri puntavano i piedi perché incapaci di operare rispettando le leggi. Uno degli oligarchi, Boris Berezovskij, ha minacciato di mandare tutto all’aria se non avesse ottenuto i guadagni che gli erano stati promessi (Berezovskij è stato trovato morto con la gola tagliata a Londra nel suo appartamento qualche anno fa, ndr)… Ero pienamente consapevole che il sistema del “capitalismo da rapina” non era solido né sostenibile, e l’ho detto molto chiaramente; ciononostante mi sono lasciato trascinare nell’affare Svyazinvest. Avevo ottime ragioni per farlo, ma resta il fatto che l’affare non ha funzionato: è stato il peggiore investimento di tutta la mia carriera. Nell’ottobre 1998 mi sono recato in Russia. Sono stato colpito dall’irresponsabilità degli investitori stranieri: questi hanno prestato ingenti somme di denaro alla pubblica amministrazione, che non ne fatto buon uso. Tuttavia, non mi sono sottratto. Anche la mia lettera al “Financial Times” ha avuto conseguenze negative indesiderate. Non ho rimpianti sui miei tentativi di aiutare la Russia a progredire verso una società aperta: non sono andati a buon fine, ma almeno ci ho provato. Invece ho grandi rimpianti in questo investitore. E ciò dimostra quanto sia difficile conciliare i due ruoli”. Ps – C’è un interrogativo inquietante sullo sfondo: se Gorbaciov avesse concesso la privatizzazione delle terre e avesse accettato di ascoltare i consigli di George Soros, il mondo occidentale sarebbe stato diverso? E’ probabile di sì. Ma bisogna ripartire dal progetto della società aperta della Soros Fund Management, per contrastare i sovranisti. Si può!
di Alexander Bush