Una recensione breve di un romanzo argentino
Ha un volto dolce e malinconico, e scrive cose raccapriccianti. Mi riferisco a Mariana Enriquez (1973), nell’elenco dei migliori scrittori di Argentina e non solo. Apparentemente i suoi racconti (“Le cose che abbiamo perso nel fuoco”, Marsilio, 197 pag., 16,50 euro) rientrano nel genere horror. In realtà le varie storie si dipanano nella feroce situazione sociale delle borgate di Buenos Aires. In una zona periferica scorre il fiume Riachuelo che finisce per diventare poco a poco poltiglia nera e putrefatta piena di veleni e cadaveri. E’ lì che va a indagare il magistrato Marina Pinat, con la pistola alla cintura, sotto la blusa. Incontra case e baracche immerse nel silenzio, bambini geneticamente deformi (a causa dell’acqua), rituali semi-pagani e un prete che si spara in testa. Da un ponte di Buenos Aires alcuni poliziotti, su cui pende un’inchiesta, hanno scaraventato in acqua due giovani colpevoli di essere poveri, ribelli e sbandati. In un altro racconto della Enriquez una donna nevrotica vede nel balcone di un vicino di casa una creatura con le catene alle caviglie: se lo ritroverà in casa. E’ un bambino maligno e deforme. Un critico ha accostato l’autrice a Roberto Bolano. Un giudizio po’ azzardato.
di Pier Mario Fasanotti