Il disastro di Ravanusa si può riassumere in poche parole. Una zona ad altissimo rischio geologico, una rete del gas metano vecchia, odore persistente di gas: provvedimenti zero, manutenzione zero.
È solo un piccolo episodio che illustra una situazione incredibile.
Infatti negli ultimi 25 anni sono stati stanziati (stanziati, non previsti!) ben 27 miliardi per opere di messa in sicurezza di un Paese come l’Italia che vanta (!) il maggior numero di frane in Europa. Ebbene di tutte le opere previste il 90% non è neppure giunto alla fase di progettazione.
Tutto questo per due semplici motivi:
- i Comuni non hanno né i fondi, né le capacità tecniche per portare a termine la progettazione di opere spesso complesse
- gli amministratori preferiscono spesso impegnarsi in opere di immediato ritorno di immagine oppure in assunzioni clientelari piuttosto che gestire opere di scarso impatto visivo e destinate a essere terminate dopo anni
Un ostacolo grandissimo, una vera palla al piede per quell’opera di modernizzazione così necessaria all’Italia.
Cosa si potrebbe fare?
Un’operazione tutto sommato a costo zero potrebbe essere quella di ridurre il numero esorbitante di Comuni esistente in Italia: circa 7000, molti dei quali piccolissimi. Già una volta è stato tentata una riduzione attraverso accorpamenti volontari da parte dei singoli Comuni; ma è mancata la precisazione di una data dopo la quale si sarebbe intervenuto d’autorità. Come, ad esempio, è stato fatto con ottimi risultati nella vicina Svizzera.
È evidente come comuni più grandi possano avere risorse, strumenti e personale per essere meglio operativi in questo campo.
Ma perché, ed è questa una proposta non solo provocatoria, non tornare al dopoguerra quando i Comuni decidevano quali opere fare, trovavano le risorse ma poi l’esecuzione veniva affidata a un ente quale il Genio Civile?
di Angelo Gazzaniga