Non si può negare che i giovani abbiano ragione quando protestano per il livello dell’insegnamento scolastico in Italia: scuole vecchie e spesso inadatte, mezzi insufficienti (abbiamo visto con quanta approssimazione è stata affrontata la DAD), livello dell’insegnamento non sempre all’altezza (lo denunciano i risultati dei test Invalsi in costante peggioramento e tra i peggiori in Europa), rapporti con il mondo del lavoro scarsi e spesso contradditori: lo dimostra il caso della morte del ragazzo durante uno stage, inteso troppo spesso non come un modo di avvicinarsi al mondo del lavoro ma come semplice sfruttamento di manodopera gratis.
Più che giustificate quindi le proteste: avere una scuola efficiente che apre alla vita e soprattutto al mondo del lavoro è un’esigenza fondamentale per i giovani di uno Stato moderno.
Ma cosa chiedono i giovani che protestano?
Di abolire i corsi di scuola-lavoro e di togliere le prove scritte dall’esame di maturità.
Di andare cioè nono verso una scuola più efficiente e moderna, ma verso una scuola intesa come diplomificio, come il famoso “todos caballeros” in cui l’esame di maturità non è un controllo sulla conoscenza di un ragazzo alla fine dei programmi, ma una burletta con percentuale di promossi superiore spesso al 95% e il contatto con il mondo del lavoro resta qualcosa di puramente teorico e destinato a diventare sottooccupazione e addirittura disoccupazione.
Quando invece un esempio virtuoso sono le scuole alberghiere: studio serio e impegnato e attività pratica nel campo: risultato? Impiego quasi sicuro una volta terminata la scuola.
Ogni giovane dovrebbe essere spinto a prepararsi alla vita, a studiare, a confrontarsi con il mondo che affronterà in futuro, non ad aspettare un qualsiasi diploma che non serve a nulla
di Guidoriccio da Fogliano