Non basta dire che mancano i soldi, occorre avere la possibilità e la voglia di spenderli
Una delle armi più efficaci per uscire dalla crisi in cui ci troviamo sono, assieme alla riduzione delle tasse e agli incentivi alla produzione, gli investimenti in opere pubbliche.
In questo caso parliamo degli investimenti dei Comuni che, se pure di importo minore rispetto alle grandi opere pubbliche, sono, grazie al loro gran numero e alla diffusone capillare sul territorio, uno dei volani più importanti della spesa pubblica.
Sono proprio questi investimenti a essere calati dal 2008 al 2014 del 50%; un calo drammatico e giustificato da tanti motivi: crisi economica, tagli ai bilanci comunali, nuove leggi sugli appalti eccetera.
Ma nel 2016 la musica avrebbe dovuto cambiare: i Comuni hanno solamente l’obbligo di pareggio tra entrate e uscite, la UE ha concesso ulteriori 4,6 miliardi da non computare nel disavanzo, il governo ha stanziato 100 miliardi per le opere pubbliche da realizzare entro il 2032.
Ma ciononostante gli investimenti sono calati ancora del 4,5% (nei Comuni del Sud del 31%) e la situazione peggiora sempre più: su 630 milioni di spesa previsti se ne spenderanno si e no 150…
Il blocco degli investimenti viene imputato dai Comuni alla nuova legge sugli appalti che, per evitare gli scandali delle varianti e delle modifiche in corso d’opera (fonte inesauribile scandali), impone che vengano presentati progetti interamente compiuti: cioè progetti definiti in ogni dettaglio.
E qui sta il problema: gli enti locali non sono letteralmente capaci di redigere un progetto, un capitolato dettagliato. Fanno gare per avere proposte da realizzare, bandi per fare un bando. Un esempio eclatante è stata la Regione Sardegna che ha emesso un bando in splendido “burocratese” per: “Manifestazioni di interesse finalizzate all’acquisizione di proposte per la realizzazione di progetti”.
Un imbuto, questo degli enti locali incapaci di fare un bando, che minaccia di vanificare qualsiasi aumento degli investimenti molto più che la mancanza di mezzi.
Che fare? Forse si potrebbe cominciare da quanto Libertates va chiedendo da sempre:
- riduzione del numero degli enti locali (a proposito, che fine ha fatto l’accorpamento dei Comuni?),
- semplificazione e riduzione delle leggi e delle procedure
- abolizione delle province (in Sicilia 200 milioni stanziati dallo Stato per il riassetto della viabilità sono fermi perché lo Stato mette i soldi, la Regione li destina e le Province presentano i progetti: risultato 0!)
- riduzione del numero dei centri di spesa (in Italia son oltre 32000!)
Tutte operazioni a costo zero, anzi con risparmi consistenti, che però andrebbero a incidere sul vero potere dei partiti: quello locale.
di Angelo Gazzaniga