Ibn Tofayl, il dilemma dell’islam

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de luca
Un’interpretazione della situazione dell’Islam vista della filosofia islamica

È davvero uno scontro tra civiltà, quello tra Islam e Occidente? E questo scontro, questa mancata integrazione, già analizzati da intellettuali occidentali, sono stati parimenti focalizzati anche dai pensatori islamici?
Una risposta alla domanda, solo per prendere uno degli esempi, potrebbe arrivare da un romanzo filosofico intitolato Hayy ibn Yaqzân, di Ibn Tofayl di Cadice (un dotto enciclopedico nato nella provincia di Granada, nel XII secolo). Il plot dell’opera, tradotta in varie lingue (in ebraico, nel XIV sec. da Mosè di Narbona, ma anche in latino, nel XVII sec., da Edward Pococke, col titolo Philosophus autodidactus), tra l’altro è molto semplice, come narra Henry Corbin, nel suo lavoro pioneristico intitolato Storia della filosofia islamica.
In questo racconto, definibile “iniziatico”, ci sono due isole, dove su una di queste, scrive Corbin, «l’autore fa vivere una società umana, con le sue leggi e le sue convenzioni; sull’altra invece vive un solitario, un uomo cioè che ha raggiunto la piena maturità spirituale senza l’aiuto di nessun maestro umano e al di fuori di ogni ambiente sociale» (cfr. pag. 247, Adelphi, 2000). Sulla prima delle due isole, però, ci sono due uomini che si distinguono da tutti gli altri, Salâmân e Absâl, per via di un loro livello di coscienza superiore raggiunto. Salâmân, tuttavia, a sua volta si distingue da Absâl in quanto egli si adatta meglio, accetta la religione popolare, tanto da mettersi al servizio del governo del suo popolo. Absâl, invece, contemplativo e mistico, no. E infatti decide di esiliarsi nell’altra isola, quella disabitata. Ma la sorpresa è dietro l’angolo. Qui Absâl trova Hayy ibn Yaqzân – un solitario cresciuto e allevato da una gazzella, forse generatosi spontaneamente da qualche materia, o abbandonato da neonato sulle acque – il quale, senza nessun tipo di influenza esterna, ha elaborato un suo pensiero sull’essenza dell’uomo, che in questa sede non è necessario riproporre. Fatto sta che i due, una volta che Hayy abbia appreso da Absâl che di fronte vi è un’isola abitata da «uomini che vivono nella cecità spirituale», decidono di approdarvi. All’inizio saranno accolti con grandi onori, ma la loro presenza finirà per essere circondata da freddezza e ostilità, tanto che Absâl e Hayy ibn Yaqzân decidono di tornare indietro.
La metafora altro non vuol dire, recepita anche nel pensiero islamico, che se a confrontarsi (nell’Islam) sono da una parte la filosofia (Absâl e Hayy ibn Yaqzân, nel racconto di Ibn Tofayl) e dall’altra la religione (la società dell’isola dove rimane Salâmân), la frattura appare insanabile. Forse è questa, pensando ad Averroè, la cosiddetta «ultima parola» della filosofia islamica?

Vito de Luca

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