Che differenza c’è tra gli anti imperialisti degli anni Sessanta e i sognatori del nuova califfato? Ben poca, ambedue sognano il tramonto dei valori occidentali
Ogni volta che sento parlare di De’sh (cioè di Isis) mi torna alla mente Pastorale americana di Philip Roth. Che c’entra quel romanzo così profondamente americano, con quel drappello di chimerici restauratori del califfato che volgono ora le loro mire verso il Cairo e Tel Aviv? C’entra, moltissimo.
Il loro spietato “idealismo” è infatti la copia esatta di quell’idealismo stolido e privo di distinguo che animava i cosiddetti “anti-americani” – o anti-imperialisti ante litteram – negli anni Sessanta in Occidente, in primis all’interno dei confini statunitensi. Cinquant’anni fa l’idealismo prendeva il nome di “Vietnam”, una nazione attraverso la quale – per quanto poco la si conoscesse – sembrava potersi scardinare ogni certezza fondata sulla Pax americana. Vietnam equivaleva a un grimaldello con cui scardinare, alla radice, anzi con cui far letteralmente esplodere, ogni principio su cui fossero costituiti i cosiddetti valori occidentali. In difesa del Vietnam e delle sue sorti – a prescindere da ogni distinguo – si collocava l’America nel novero delle nazioni maledette, dal capitalismo fascista e dal colonialismo irresponsabile.
Oggi la parola “Vietnam” è stata sostituita dalla parola “Islam”. Oggi non si accusa l’ingerenza occidentale, e americana in primis, nei destini di un paese sovrano, ma nella stessa costellazione transnazionale chiamata ‘Ummah, la comunità islamica. In nome e sotto l’egida dell’Islam si torna disinvoltamente a fare – come la terrorista Merry di Pastorale americana – “di tutta un’erba un fascio”. E come dalle province e periferie fanatizzate dell’America del dopoguerra cominciarono a sorgere i primi drappelli di “ignoranti” che non riuscivano a cogliere la sostanziale differenza fra un’America coloniale e un’America repubblicana, così oggi i “figli di Allah” (come con involontaria blasfemia li chiamava Oriana Fallaci) nutrono il fanatismo di migliaia di disperati che chiedono a gran voce, dalle banlieux disagiate francesi alle capitali arabe, dalle metropoli alle campagne, di ripristinare l’idealismo anti-occidentale come una sorta di lavacro in cui mondare ogni possibile male della Storia.
Idealismo becero, va da sé. Ma che Pastorale americana ci insegna a leggere nella giusta ottica. E qual’è? Senza voler fare dello sterile culturalismo, essa coincide, né più né meno, che con l’ottica inaugurata e fortificata, negli ultimi decenni, dai media internazionali: l’ottica della banalizzazione. Ormai l’idealismo non solo è supportato, surrogato, sostenuto dai media, ma promosso loro malgrado dall’ignoranza che i media alimentano nella loro involontaria opera di banalizzazione del reale.
Se osserviamo la composizione “umana” degli aderenti a Isis ci rendiamo conto che assomigliano, in molti loro aspetti, ai più grossolani “anti-americani” ante litteram dell’opposizione cosiddetta “progressista” degli anni Sessanta. Entrambi non conoscono la logica dei distinguo, entrambi non conoscono la parola complessità, entrambi professano con cieco fanatismo un ideale che coincide con l’utopia. Ed entrambi, soprattutto, inclinano a quel “terrorismo” che nella sua violenza distruttiva interpretano come una sorta di fluido rigeneratore della contemporaneità.
Ma ciò che è peggio è che entrambi procedono da un unico referente culturale: il marxismo del Manifesto del partito comunista nel primo caso, letto con i paraocchi e senza alcuna cognizione storica delle sue possibili applicazioni, e, nel secondo caso, l’islamismo radicale estorto abusivamente al Corano, letto con paraocchi altrettanto impermeabili alla Realpolitik e tramutato da opera del cielo ad avallo della violenza.
Leggere un solo libro – o leggere libri, e la stessa realtà, solo nell’orbita di una conferma preventiva dei propri pregiudizi idealistici – è dunque il grande male che attanaglia l’anti-americanismo e alimenta la violenza che lo denuncia.
È tempo che si apra Roth e si capisca che America e Islam non sono effigi ma realtà. Con tutta la complessità che portano con sé.
Marco Alloni