Bruno Rota, direttore generale dell’Atac, l’azienda dei trasporti di Roma, afferma sconsolato che “la situazione è pesantemente compromessa e minata, in ogni possibilità di rilancio organizzativo e industriale”. Il debito è di 1,3 miliardi di euro.
Chi prima o poi ripagherà tale debito e finanzierà il rilancio dell’Atac? Molto probabilmente – visto che il Comune di Roma è pesantemente indebitato – sarà lo Stato, coi soldi pubblici, ossia quelli dei contribuenti.
Nel 2008 il debito pregresso di Roma, più di 15 miliardi di euro, è stato affidato a una gestione commissariale. La società che lo governa riceve dallo Stato circa 300 milioni di euro l’anno. Gli italiani, negli ultimi nove anni, hanno già versato quasi tre miliardi per sostenere il debito della città di Roma.
Dispiace per il singolo cittadino romano, ma Roma non merita i privilegi di capitale perché non dà quasi niente in cambio di ciò che riceve: basta fare il confronto con la funzionalità, la pulizia, i trasporti di Berlino, Londra e Parigi. Nessuno, a partire da Milano, la capitale economica per merito e non per soldi dei contribuenti, la invidia. Tutto ciò – al di là del dispiacere per i romani – sarà ulteriore impulso per lombardi e veneti – che siano di destra o di sinistra non importa – a votare sì al referendum consultivo per l’autonomia del 22 ottobre. Si rifletta su un dato: ogni cittadino lombardo, neonati e ultracentenari inclusi, dà in solidarietà al resto del Paese oltre 5.500 euro l’anno. A ciò – che naturalmente è un record: ci sono Regioni i cui cittadini danno zero euro – corrispondono strade con buche, accoglimento da primato di migranti, scarsa sicurezza sul territorio, scuole senza riscaldamento. Il federalismo e la sua declinazione fiscale sono cardini di una democrazia evoluta al pari dell’elezione diretta: l’individuo è al centro di tutto, è lui la democrazia, conosce quasi di persona chi elegge, vuole che le tasse che paga, risultato del suo lavoro, si traducano in servizi sul suo territorio. Altro principio è la liberta: si tolga, prima o poi, quel verso “Italia schiava di Roma”, dall’inno nazionale. Nella Repubblica italiana tutti sono liberi, nessuno è schiavo di nessuno, a maggior ragione simbolicamente.
di Ernesto Vergani