Il canone Rai cambia forma ma resta: ma basta un’occhiata ai conti della Rai per capire che non serve a coprire un servizio, ma inefficienza e partitocrazia: a quando una vera riforma della Rai?
Il canone RAI con questa ventata di rinnovamento ha subito anche lui una modifica: da tassa (cioè da pagamento di una prestazione: uguale per tutti in funzione della prestazione fornita) a imposta (cioè in proporzione al reddito).
Quello che non è cambiato è l’importo: resterà per lo meno uguale, anche se secondo certi parametri resta uno dei più bassi d’Europa.
Ma, ci domandiamo noi cittadini, è proprio necessario mantenere un carrozzone come la RAI?
Che ha:
- 13000 dipendenti contro i 6000 di Mediaset e i 4000 di Sky
- 1700 giornalisti ripartiti in 14 strutture
- 21 sedi regionali
- 13 canali televisivi
- un costo medio per dipendente di 89000 euro contro i 69000 dei dipendenti Sky
- e per non fare nomi un direttore di TG1 (Minzolini) con un compenso di 550,000 euro all’anno contro i 300.000 del collega di Sky.
Nulla da obiettare se un’azienda vuole strapagare una miriade di dipendenti: saranno i suoi azionisti a chiederne il motivo
Ma in questo caso alla fin fine gli azionisti siamo noi cittadini che, more solito, dobbiamo pagare costi che non possiamo né controllare né decidere.
Ecco allora la necessità di quanto da tempo va chiedendo Libertates: o una drastica riduzione di costi e sprechi che permetta di ridurre il canone ai minimi termini (non dimentichiamo che Mediaset vive solo di raccolta pubblicitaria) oppure privatizzare la RAI mantenendo solo un servizio pubblico senza introiti pubblicitari sostenuto da un adeguato canone (come la leggendaria BBC)
Angelo Gazzaniga