Il carteggio di GIOVANNI BOVIO

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La presentazione di un libro scritto dall’autore di questo articolo su Giovanni Bovio, eminente filosofo e storico meridionalista

Giovanni Bovio (1837-1903), di Trani (ma fu Napoli la sua città di adozione), repubblicano e massone di grande prestigio e protagonista autorevole della storia democratica degli ultimi decenni del Novecento, godé di larga stima e ammirazione negli anni del suo impegno filosofico e politico, a tal punto che Mario Rapisardi lo immortalò in un’epigrafe piuttosto nota: «In questa casa morì povero e incontaminato Giovanni Bovio che meditando con animo libero l’infinito e consacrando le ragioni dei popoli in pagine adamantine ravvivò d’alta luce il pensiero italico e precorse veggente la nuova età».
A rinverdirne il ricordo e ad arricchirne la bibliografia, che non ha avuto incrementi importanti negli ultimi anni, provvede ora utilmente un volume di Giuseppe Brescia, Giovanni Bovio: la vita e il pensiero. Bovio epistolografo ed epigrafista, edito, con scarna veste editoriale, sotto l’egida della Libera Università «Giovan Battista Vico» e della Sezione di Storia Patria di Andria, da etetedizioni nel 2019.
Dopo una breve ed essenziale ricostruzione della sua vita, culminata nell’insegnamento universitario e nell’elezione al Parlamento per il collegio di Minervino, e della sua opera, l’una e l’altra segnate da un’alta moralità e spese nella difesa dei valori sociali e della libertà del pensiero (anche di quella dei preti, nonostante il suo anticlericalismo), il volume si articola in tre parti, prima di chiudersi con un’ampia e opportuna sezione bibliografica e con una interessante appendice documentaria, nella quale vengono riprodotti, tra l’altro, alcuni autografi.
Se la prima, che per la verità avrebbe avuto bisogno di essere meglio distinta, tipograficamente, dall’introduzione dell’autore, propone un’antologia del pensiero del filosofo, dalla quale emergono con evidenza i caratteri salienti della sua riflessione teorica, e se la terza recupera i testi e la storia di Bovio epigrafista, la seconda – la più rilevante – ne pubblica l’Epistolario (1861-1903), che da un lato comprende, con relativo commento e con l’opportuna integrazione delle «note autografate di Croce», lettere già in larga parte variamente pubblicate nel corso del tempo (in parte dallo stesso Brescia) e presenti nella copia trascritta da Raffaele Cotugno e conservata presso la Biblioteca civica di Trani, dall’altro ci offre, traendole da alcuni manoscritti della stessa biblioteca, un cospicuo numero di lettere finora inedite (ma anche alcune liriche), dalle quali, così come dal Ritratto di se stesso – conservato all’interno dell’epistolario –, emerge il profilo di un uomo che ebbe «ardentissimo il cuor, sùbito all’ira e all’amore» e «libera la parola e la penna» e per il quale «l’onestà vera è tolleranza di opinioni, di convincimenti, di fede, ma è intolleranza implacabile d’ipocrisia, di viltà, di doppiezza, di male opere».
Il carteggio getta nuova luce sull’intensa rete di relazioni che Bovio intrattenne con poeti, amici, familiari, conterranei e collaboratori, da Carducci a Rapisardi, da Alberto Mario ad Andrea Costa, da Felice Cavallotti a Filippo Turati, da Benedetto Croce ad Arcangelo Ghisleri, dal fratello Gennaro a un banchiere francese che gli aveva offerto 1.200.000 franchi «a patto che svolgesse i propri buoni uffici per un prestito al governo italiano e al quale risponde con sacrosanto sdegno: «Voi mi scrivete che tutto sarebbe fatto di cheto in Roma, senza che altri ne sappia. E non lo saprei io? E non porto nella mia coscienza un codice? I banchieri possono lasciare la loro coscienza a pie’ delle Alpi, e ripigliarsela al ritorno, ma io la porto dovunque, perché là dentro vi sono gli ultimi ideali che ho potuto salvare dalle delusioni».
Ma illumina anche, accanto ai più intimi affetti, alle difficoltà esistenziali e agli studi filosofici, i tratti fondamentali del suo impegno civile e intellettuale: l’avversione alla monarchia e la fiducia, non priva di accenti utopici, nell’avvento della repubblica, l’indisponibilità al compromesso con le fazioni clericali, il rifiuto del gioco perverso delle candidature elettorali, l’adesione alla Massoneria, l’ammirazione, infine, per Giordano Bruno e per Dante, i suoi modelli di riferimento, che «parlarono alla posterità» e «si piantarono in faccia al Vero e lo gridarono al mondo».

di Giuseppe Brescia

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Giuseppe Brescia
Filosofo storico e critico, medaglia d'oro del MIUR, Premio Pannunzio 2013 e Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica,Componente dei Comitati per le Libertà, ha procurato di innestare storicismo epistemologia ed ermeneutica. Dopo la fase filologica('La Poetica di Aristotele','Croce inedito' del 1984 ),ha espresso un sistema in quattro parti: 'Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva', 'Epistemologia come logica dei modi categoriali', 'Cosmologia', 'Teoria della Tetrade', 1999-2002).Per Albatros ha pubblicato il commento alla lezione di Popper in'Maledetta proporzionale' (2009,2013);'Massa non massa.I quattro discorsi europei di Giovanni Malagodi'(2011);'Il vivente originario'(saggio sulla filosofia di Schelling, con prefazione di Franco Bosio, Milano 2013); 'Tempo e Idee. Sapienza dei secoli e reinterpretazioni', con prefazione di Bosio (2015).I temi del tempo e del 'mondo della vita' si intrecciano con le attualizzazioni del 'male', da '1994'.Critica della ragione sofistica (1997), 'Orwell e Hayek', 'Ipotesi su Pico'(2000 e 2002) sino al recente'I conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male'(Bari 2015).E' Presidente della Libera Università 'G.B.Vico' di Andria

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