Il caso Ingroia è indicativo di un certo modo di gestire le regole “all’italiana”
A parte il caso particolare:
appena trasferito ad Aosta si mette in ferie (lampante esempio di dedizione al dovere);
appena rientrato nei ranghi della magistratura partecipa a cortei e manifestazioni politiche (alla faccia dell’apoliticità richiesta ai giudici)
appare evidente come la mancanza di una regolamentazione chiara dei rapporti tra magistratura e attività politica generi necessariamente abusi, comportamenti obliqui, strumentalizzazioni di ogni genere che non possono che ulteriormente deprimere la fiducia (già scarsa) che gli italiani hanno verso le istituzioni.
I Comitati sono favorevoli (vedi il nostro “Terzo strapotere“) ad alcune regole semplici, di buon senso, facilmente attuabili che risolverebbero in gran parte il problema:
- divieto per i magistrati a presentarsi candidati nelle circoscrizioni in cui hanno esercitato (per evitare il sospetto che la loro attività fosse indirizzata ad ottenere un certo qual credito politico)
- divieto per un magistrato ad esercitare nel collegio ove si è candidato (per i motivi opposti a quelli summenzionati)
- obbligo per un magistrato di dimettersi una volta eletto (per evitare il fenomeno dilagante dell’”aspettativa”)
- divieto di presentarsi candidato in più collegi (divieto valido per chiunque)
Ma, come ben possiamo vedere ogni giorno, il problema fondamentale è che ogni riforma, anche la più piccola, la più logica, viene affossata e respinta perché potrebbe mettere in discussione i privilegi di quelle caste e corporazioni che dominano e soffocano l’Italia.
Angelo Gazzaniga
Un’altra regola fondamentale da aggiungere sarebbe quella di un determinato periodo sabbatico ( 2-3 anni) dalla data delle dimissioni a quella di entrare in politica. Grazie