Perché le banche non possono fallire?
Viviamo in un’epoca caratterizzata dal terrore fobico del fallimento – dalla Goldman Sachs a Etruria, dai derivati alle obbligazioni subordinate, è sempre tutto “troppo grande per fallire”. Ha invece perfettamente ragione l’esperto Ferdinando Giuliano ne “Il prezzo della bad bank”: “Solo un’economia capace di accettare i fallimenti e di accelerare la ridistribuzione del capitale può permettere alle realtà industriali più innovative di crescere e produrre lavoro e ricchezza. La “distruzione creativa” predicata da Joseph Schumpeter è il migliore antidoto all’immobilismo cui siamo abituati”: che è quello di statalizzare in perdita il narcisismo del giocatore d’azzardo.
L’analisi di Enrico Grazzini sul dispositivo anti-fallimento delle banche fallimentari (sic!) noto come Unione Bancaria+ “bail in”in seguito alla tragica vicenda di Etruria–cioè socializzazione interna delle perdite a carico degli ignari contribuenti in uno Stato già dissestato dalla Grande Recessione -è ineccepibile quanto a imparzialità:“L’Unione Bancaria scarica sui risparmiatori il costo dei fallimenti bancari”. Si tratta nel caso specifico di una norma criminogena che il proprietario delle “scatole cinesi” della Banca Privata Italiana Michele Sindona, poi fallito per bancarotta fraudolenta, tentò di far passare nel cosiddetto memorandum Stammati/Andreotti– ma l’opposizione intransigente dell’“eroe borghese” Giorgio Ambrosoli e del Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta mandò tutto all’aria, consentendo in prima istanza il fallimento necessario della BPI collegata alla Franklin Bank che non era considerata “too big to fail”, e poi l’analogo fallimento del Banco Ambrosiano che come ha ricordato Angelo Gazzaniga è stato fondamentale per l’economia italiana sfociando nel Nuovo Banco Ambrosiano e Banca Intesa (vedi l’interessantissimo articolo “Chi ci ha detto che le banche non possono fallire?”). Si chiama liberismo classico, vincente, che paradossalmente nella tanto vituperata Prima Repubblica, mostrava segni di vitalità nonostante – come ci ricorda lo scrittore Enrico Deaglio sul Venerdì de “la Repubblica”–“Giulio Andreotti, tutore di molti bancarottieri… arrivò al punto da ottenere l’arresto del Governatore Baffi e del suo vice Sarcinelli. (Era il 1979. Allora non c’era l’Europa, noi tendevamo piuttosto al Sud America).
Rispetto ad allora, tutto è cambiato?”. Caro Deaglio, l’Europa c’è, ma bisogna vedere che tipo di Europa: perché non c’è più bisogno di chiedere l’arresto di un governatore della Banca d’Italia, nel golpe bianco della tecnofinanza all’opera con il caso Etruria e satelliti; Grazzini lo spiega:“L’Unione Bancaria prevede il contestato… salvataggio interno delle banche a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti per la quota oltre i 100mila euro… Secondo la direttiva europea sulle banche, fortemente voluta dall’ultraconservatore ministro tedesco Wolfgang Schauble, gli azionisti saranno i primi ad assorbire le perdite di una banca in crisi; poi seguono i possessori di obbligazioni subordinate, poi quelle delle altre obbligazioni senior. Infine le piccole e medie aziende e le persone saranno chiamate a pagare il fallimento bancario per le quote di depositi di ammontare superiore a 100 mila euro…”.
E’ la regola che invano voleva Sindona il quale – in questo modo – si sarebbe salvato dalla bancarotta e dal carcere senza dover richiedere l’eliminazione dello scomodo Ambrosoli e la custodia cautelare di Baffi e Sarcinelli : “Dopodichè scatta l’intervento del fondo di risoluzione bancario, e infine il salvataggio da parte dello stato con i soldi dei contribuenti”. E’ in altri termini il socialista bastardo “moltiplicatore keynesiano al rovescio”– per parafrasare l’economista Nouriel Roubini – che, tuttavia, nel caso italiano è persino peggiore di quello adottato negli USA tra le Amministrazioni Bush e Obama: “E’ una regola del tutto originale: nei paesi anglosassoni, in USA e UK, per esempio, correntisti e obbligazionisti non pagano per la crisi della loro banca in caso di fallimento… In generale il pubblico non può conoscere la reale situazione di bilancio di un istituto…”.
In Italia invece, per diktat del Governatore della BCE Mario Draghi, il pubblico deve pagare per le colpe che non ha: si chiama collettivizzazione dei prodotti tossici. E’ il Colpo di Stato di Michele Sindona al Governo: “Saranno quindi gli ignari risparmiatori a pagare i dissesti bancari– provocati magari in gran segreto e in logge riservatissime da manager e consiglieri corrotti…”. E in alcuni casi si suicidano, come ha raccontato la cronaca recente.
Sindona si sta rivoltando nella tomba: i tecnocrati lo copiano in violazione del copyright, e spacciandosi per liberisti!
Alexander Bush