Una lettura psicoanalitica della figura di Giancarlo Caselli
Forse Luciano Liggio aveva colto nel segno: ci vogliono i test “psico-attitudinali” per i magistrati, categoria particolarmente a rischio. Chi scrive è sinceramente preoccupato dalla sindrome ossessiva compulsiva – giunta a quanto pare ad alti livelli di disfunzionamento della patologia “one track mind” (unilateralismo mentale) – dell’ex magistrato torinese Giancarlo Caselli, il quale ha un problema. Ed è un problema serio (a parte le battute).
Avete presente il formidabile attore Jack Nickolson nel film Shining di Stanley Kubrick? Cominciò a scrivere all’infinito lo stesso pezzo nel castello dominato da strani spiriti e presenze e dalla “luccicanza magica”, e poi sappiamo come è andata a finire… Orbene, è esattamente lo stesso caso del “diversamente andreottiano” Caselli che nel numero 3/2019 di Micromega (“Il paese dell’impunità”) ripubblica per la settantesima volta in quindici anni – repetita iuvant, 70volte dal 2004 al 2019 – il pezzo “Il mafioso Giulio Andreotti” (con qualche marginale correzione); siamo dunque nel campo dei disturbi dell’ossessività che possono sfociare nelle psicosi. Caselli uomo colto, sul fatto:
“Ecco, per sommi capi, lo svolgimento del processo di Palermo al senatore Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio e 33 volte ministro (nel suo curriculum anche 26 volte davanti alla Commissione parlamentare inquirente e 26 volte archiviato).
In primo grado (23 ottobre 1999) c’è stata assoluzione, sia pure per insufficienza di prove (la vicenda processuale, invece di essere valutata nella sua interezza, è stata segmentata e dispersa in mille rivoli; per cui, a fronte di vari giudizi sostanzialmente negativi su singoli gravi episodi, è mancato un bilancio conclusivo coerente). In appello (2 maggio 2003) la sentenza del tribunale è stata parzialmente ribaltata. Mentre per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti è stato nuovamente assolto per insufficienza di prove, per quelli antecedenti è stato ritenuto colpevole per aver COMMESSO il reato contestatogli (associazione a delinquere con Cosa Nostra). Il reato COMMESSO è stato dichiarato prescritto, ma resta ovviamente COMMESSO.
La Cassazione (28 dicembre 2004) ha confermato la sentenza d’appello anche nella parte in cui si afferma la penale responsabilità dell’imputato fino al 1980. Processualmente è questa la verità definitiva ed irrevocabile.
La sentenza della Corte d’appello consta di una motivazione di circa 1.500 pagine e di un dispositivo di poche righe, lette come di regola in pubblica udienza (presenti quindi giudici, pm, segretari, cancellieri, avvocati, giornalisti e pubblico). Chiara e forte, nel silenzio di tutti, è risuonata la parola “COMMESSO” e tutti in quell’aula l’hanno chiaramente udita…”.
Ps – Abbiamo due certezze: Caselli si alza alle 7 del mattino pensando a Giulio Andreotti, e le ossessioni sono sempre egodistoniche (vissute male dal soggetto impegnato a ruminare). Non è del tutto vero che Andreotti è stato dichiarato colpevole ma prescritto, in quanto per i cosiddetti fatti successivi al gennaio del 1980 (tra cui l’assassinio del Presidente della Regione Sicilia Sergio Mattarella) Andreotti si segnalò, anche se non subito, per un’attività antimafia personale e in campo legislativo sfociata nell’azione di sostegno al maxiprocesso a Cosa Nostra. Sarà anche singolare notarlo, ma il Divo combatté Cosa Nostra quasi al prezzo della vita nel triennio 1989/1992 e i giudici lo hanno messo nero su bianco… Meglio tardi che mai! Chissà se c’è un rapporto tra “doc” (disturbo ossessivo) e distorsione della realtà.
Segnalo infine allo stanco e quasi consunto Caselli che nel bellissimo maggio tropicale dell’Italia 2019 c’è una ristampa de Il Grande Gatsby a firma di Francis Scott Fitzgerald per la traduzione di Franca Cavagnoli. E forse Caselli vedrà che la vita assumerà tutto un altro sapore.
Intanto Ingroia è stato fermato ubriaco all’aeroporto: ha un disturbo ossessivo anche lui? Certe volte nella vita bisogna avere il coraggio di voltare pagina, e di rinunciare ai propri obiettivi quando sono troppo ambiziosi…
di Alexander Bush