Quello della Raggi non sarà un reato di falso ideologico, ma rimane il falso dell’ideologia
E’ ufficiale. La sindaca di Roma Virginia Raggi sta andando a processo per falso ideologico in atti pubblici – un comportamento gravissimo se commesso veramente che, tra l’altro, ricorda molto da vicino i falsi materiali nell’inchiesta Consip di Gianpaolo Scafarto–in relazione alla protezione “padrinale” di Raffaele Marra nei posti chiave della pubblica amministrazione.
E’ auspicabile che venga assolta, ma a prescindere dalla presunzione d’innocenza che le è garantita dal dettato costituzionale emerge un fatto dal quale la bellissima ed enigmatica “intellettuale del potere” proveniente dalla società civile Virginia Raggi non uscirà, non potrà mai uscire assolta: il falso dell’ideologia.
In campagna elettorale per l’elezione a sindaco della Capitale, la Raggi sostenne sul piano teorico la stessa gestione lottizzatoria della pubblica amministrazione che oggi provoca infiniti scandali giudiziari e non, ovvero l’ideologia, che è la rivestitura dottrinale del crimine organizzato; Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Beppe Grillo insieme a lei dichiararono che“andava spazzata via la classe plutocratica e le logiche del neoliberismo” di un trentennio (supposto) di mal governo. Orbene, è esattamente questo il “falso consapevole dell’ideologia” che non ha nessun inquadramento possibile in termini di notizia criminis processualmente parlando. Tuttavia, è qualcosa di peggio: si tratta di un inganno consapevolmente e dolosamente “leninista” nei confronti dei cittadini, poichéè l’apologia del costruttivismo politico-dirigista nei confronti della società come rimedio alla (presunta) plutocrazia che da trent’anni assedierebbe Roma Capitale. Con questa impostazione di populismo furbissimo, a tratti diabolico in senso criminogeno–“inganniamo intellettualmente i cittadini distruggendo la competizione così il potere autoritario aumenta”, per dirla in maniera brutale – l’entourage elettoral/politico della Raggi ha cancellato dalla memoria collettiva le spaventose motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Perugia per l’omicidio di Carmine Pecorelli avvenuto a Roma il 20 marzo 1979 che censuravano la corruzione sovietica dell’economia italiana.
, con i “no permorfing loans”– i crediti non performanti ante-litteram.
– inventati dal piccolo-borghese Giulio Andreotti nei confronti degli imprenditori falliti come Nino Rovelli, Caltagirone e Mario Barone.
di Alexander Bush