Il presidente americano Obama sfida Putin inviando alle olimpiadi invernali di Sochi, in Russia, due atlete lesbiche. Il presidente russo Putin sfida Obama (e l’ectoplasma della Unione Europea) convocando il presidente ucraino a Mosca per imporgli il rientro nello spazio economico neo-sovietico. In questa contrapposizione si consuma, anche simbolicamente, il disastro della politica occidentale di fronte al solido realismo autoritario della Russia. Perché il gesto di Obama, trasformando scelte sessuali personali – come quelle di chi si professa omosessuale – in bandiere politiche del tutto improprie in una competizione sportiva, “dice qualcosa di sinistra”, e soprattutto “qualcosa di snob”, in maniera puramente superficiale e dimostrativa, senza nulla cambiare politicamente e contribuendo soltanto a diffondere il conformismo di facciata politicamente corretto. Il gesto di Putin, invece, afferrando il recalcitrante alleato ucraino per la collottola e allontanandolo dall’Occidente grazie al ricatto sul prezzo del gas, ottiene un risultato pratico tangibilissimo: il controllo oggi economico e domani strategico di un grande paese come l’Ucraina, potenziale polmone agricolo per tutto il continente. E poco importa se, per finanziare i suoi sconti sul gas a Kiev, il ras del Cremlino ha dovuto mettere le mani sulle riserve economiche già destinate a pensionati e agli individui non autosufficienti di madre Russia.
Insomma, da un lato il progressismo propagandistico, dall’altro il realismo autoritario: tutta qui la tragedia di questo inizio millennio. Quanto alla sfida tra Obama e Putin, a voi decidere quale dei due statisti sia politicamente più serio.
Gaston Beuk