L’eterna battaglia tra il deficit spending di Keynes e il laissez faire di Friedman: esaltata ora dagli effetti del sovranismo imperante
E’ stata ignorata con superficialità inescusabile dai mass media l’affermazione criminogena del Ministro degli Interni Matteo Salvini:“Me ne frego delle agenzie di rating”. In realtà essa ha un antefatto: la Teoria Generale dell’Occupazione, che causò la morte del suo autore John Maynard Keynes“suicidato” per consunzione a Bretton Woods dopo essere stato smascherato nella sua truffa intellettuale dall’antagonista Milton Friedman (sic!). La tirannia dello spazio non consente di approfondire un argomento così importante. Warren Mosler ha dedicato un libro alla Teoria Generale dell’Occupazione basata sul dogma del deficit spending che spiega molto bene il pensiero-manifesto di Keynes:“Quinto passaggio – Dalla questione della credibilità di uno Stato, alle valutazioni di solvibilità, al rischio e gestione del default. In questo passaggio (dell’intervista radiofonica a Sir Josiaph Stamp, presidente della Bank of England, ndr)… Keynes tocca il punto della tenuta contabile di uno Stato e delle valutazioni che riceve da soggetti terzi. Oggi, in zona euro, la questione della valutazione è presente su tutti i media. Keynes afferma in sostanza che uno Stato con reale capacità di spesa è indipendente dal mercato e può ignorare le valutazioni di qualsiasi agenzia di rating e così afferma anche la MMT (la Modern Money Theory, ndr):“il fatto che la spesa governativa non sia in nessun caso operativamente vincolata dalle entrate significa che non c’è rischio di insolvenza”. Warren Mosler, purtroppo erede di Keynes, ne deduce conclusivamente che il rischio insolvenza dei paesi Euro è in realtà soltanto una finzione per legittimare l’imbroglio della“speculazione a breve periodo” degli operatori finanziatori altrimenti detti i mercati: “Il caso dell’euro zona è diverso. Qui il rischio di insolvenza è effettivo, perché i finanziamenti pubblici dipendono dai prestiti di soggetti terzi che dovranno essere ripagati e le agenzie di rating valutano la solvibilità degli Stati”. Per essere chiari una volta per tutte, questo era il nucleo della visione paranoide del Duce Benito Mussolini sceso in guerra il 10 giugno 1940 dal balcone di Palazzo Venezia contro le “demoplutocrazie reazionarie anglosassoni di Francia e Inghilterra” (il risultato è stato la devastazione di un paese tra milioni di morti). Addirittura una procura della Repubblica, quella di Trani per l’esattezza, ha praticato la “via giudiziaria al rating” (Massimo Giannini dixit) secondo l’autoinganno dell’obbligatorietà dell’azione penale: l’accusa di cospirazione a carico delle sorelle Standard and Poor’s, Moodys e Fitch per manipolazione continuata e aggravata delle informazioni sul debito pubblico che ha trovato approdo addirittura in un processo penale (senza che nemmeno ci fosse il reato!). Era il 1933, quando il Massimo Cacciari ante-litteram Stamp, direttore di banca, contestava a Keynes di legittimare il sovranismo (di cui oggi il governo giallo-verde è un campione):“Ammesso che si voglia concedere una ragionevole attenzione alle opinioni della gente relativamente al credito pubblico (“potete spendere più di quello che avete senza fallire”, ndr), non è un fatto positivo per il governo, così come per qualsiasi altra autorità, qualora si pensi che esso sia sull’orlo della bancarotta” Keynes replicò con una risposta diabolicamente manipolatoria (che però non sarà in grado di reiterare al confronto con lo schiacciante Milton Friedman nel 1944 a Bretton Woods): “Non credo che misure davvero in grado di arricchire il paese possano danneggiare la credibilità pubblica…”. Dunque, riepilogando: l’ascoltatissimo consigliere economico di Roosevelt convinse mezzo mondo (tanto nel 1933 quanto nel 2008 con la crisi dei sub-prime) che lo Stato è indipendente dal Mercato ed è tecnicamente insolvente; la pietra angolare di questa teoria dichiaratamente sovranista è il deficit spending: “Tanto nel lungo periodo saremo tutti morti”, fu la celebre frase dell’economista mainstream dal 1919 al ’45 (purtroppo per tutti noi). Frase che celava una tendenza alla menzogna in sede di elaborazione teorica, secondo il raffinato giurista Ferdinando Cionti. Se lo Stato non può fallire e deve socializzare gli investimenti, Charles Ponzi e Steve Jobs sono messi sullo stesso piano quando oggettivamente non sono uguali (sic!). Infatti: se i governanti ritengono su base keynesiana che “la spesa governativa non sia in nessun caso operativamente vincolata dalle entrate e non c’è rischio di insolvenza”, gli speculatori senza capitali non possono fallire in quanto vengono salvati dallo Stato eternamente e felicemente in deficit! Lo chiarisce infatti benissimo il presidente di Citygroup Richard Parsons in un’interrogazione davanti al Congresso:“Lo scarso controllo non èdipeso solo dalle banche (che sono amministrate da persone, ndr), ma anche dai regolatori. E’ stata incentivata la concessione del credito a persone prive di requisiti necessari, e molte persone, pur non potendoseli permettere, hanno acceso mutui ipotecari o contratti di prestiti per estrarre liquidità dal valore reale dell’abitazione”. Ma la bolla speculativa dei mutui ipotecari e dei derivati salsiccia era incoraggiata da un principio criminogeno: lo Stato non rischia l’insolvenza mai. Ha così ragione Elio Lannutti, ambiguo presidente di Adusbef Consumatori, scrive nell’unico capitolo che si salva del suo libro Morte dei Paschi (di Siena, ndr) alla voce Il crollo:
“E si… Carlo Ponzi passò alla storia. Si può dire che divenne immortale. Il suo lascito forgerà il mondo dopo di lui. E la sua eredità, passata alla storia col nome di “schema Ponzi”, divenne il pilastro insostituibile della finanza contemporanea. Le caratteristiche necessarie per far funzionare lo “schema” sono quattro: promessa di alti guadagni in poco tempo; ottenimento dei guadagni da escamotages finanziari o da investimenti di alta finanza, documentati in modo poco chiaro; offerta rivolta a un pubblico non competente in materia finanziaria; investimento legato a un solo promotore o azienda. Come quattro sono le sue fasi. Fase A: al potenziale cliente è promesso un investimento con rendimenti superiori ai tassi di mercato, in tempi ravvicinati. Fase B: poco dopo, viene restituita parte della somma investita, facendo credere che il sistema funzioni veramente. Fase C: si sparge la voce dell’investimento molto redditizio; altri clienti cadono nella rete. Si continuano a pagare gli interessi con i soldi via via incassati (la finanziaria ha capitale sociale zero, ma gli investitori non lo sanno. Fase D: lo schema si interrompe quando le richieste di rimborso superano i nuovi versamenti…”. Attenzione, però: abbiamo visto che secondo Dick Parsons – in linea diametralmente opposta a Joseph Stiglitz –è stata obiettivamente incentivata la concessione dei no performing loans a persone prive di requisiti necessari. “Gli intrallazzi sul mercato statunitense dei mutui saranno ricordati come la grande truffa di inizio millennio”, ha denunciato il turbo-keynesiano Premio Nobel Joseph Stiglitz. Peccato che si sia dimenticato di aggiungere che i suddetti intrallazzi erano richiesti dalla società civile quale parte in costruens del processo dei CDS: Credit Default Swaps. La genesi di questa bulimia finanziaria era nella convinzione perversa che lo Stato non può andare in bancarotta. Continua Elio Lannutti nel capitolo Il crollo: “Poi, nel 2008 accadde qualcosa d’inaspettato per gli organi d’informazione di tutto il mondo. La Borsa di Wall Street crollò sotto il peso di uno sconosciuto (ai più) strumento finanziario chiamato “Credit Default Swap” o Cdo, modo molto criptico per definire un’astrazione ancora più criptica: il derivato…”. Tutte astrazioni per guadagnare senza lavorare. Ma Steve Jobs e Carlo Pietro Giovanni Tebaldo Ponzi non sono uguali: uno creava, l’altro speculava. E il merito è fondamentale ad assicurare il progresso sociale. Per questo servono le agenzie di rating. Tuttavia il pregiudizio della Great Society di Keynes è ben lontano dall’essere sradicato nella mentalità di governanti e cittadini, soprattutto ora che i sovranisti vincono in giro per il mondo, dall’immobiliarista senza capitali The Donald Trump (America First) a Matteo Salvini in Italia. Chiedo scusa se abuso per un attimo della pazienza dei lettori. Nel libro “Keynes o Hayek – Lo scontro che ha definito l’economia moderna” di Nicholas Wapshott, l’autore tocca il focus di maggiore importanza: Keynes era il massimo teorico (chi scrive aggiunge soltanto dopo Lenin) della pianificazione dirigista in economia contro i meccanismi autoregolativi del Mercato, che sfociava nella strutturazione teorica dello Stato Imprenditore, cioè il famigerato Stato etico le cui banche – ci torneremo su in seguito – sono “troppo grandi per fallire”: se finisce il laissez-faire, infatti, le autorità statali socializzano in deficit spending a lungo termine gli investimenti anche quando essi vanno molto male, e così hanno fatto i “keynesiani bastardi” (da Nino Galloni) Paulson, Bernanke, Greenspan con Bush e Obama, salvando i colossi della speculazione finanziaria dalla prospettiva ben più sana del loro fallimento:
“Dobbiamo fare ricorso al principio che la prosperitàè cumulativa”. Siamo prigionieri di un’abitudine. Ci serva una spinta, una scossa, un’accelerazione”, sosteneva Keynes; quindi suggeriva come “cura definitiva alla disoccupazione” l’investire cento milioni di sterline nell’edilizia pubblica, in strade migliori e negli adeguamenti della rete elettrica. Lo stimolo all’economia avrebbe riportato la fiducia nel sistema d’impresa. “Facciamo in modo di sperimentare con audacia queste idee anche se alcuni progetti dovessero rivelarsi un fallimento, cosa molto probabile”, scriveva. La disinvoltura di Keynes con i soldi dei contribuenti era scioccante anche per il ministro laburista del Tesoro, Philip Snowden, che nella sua politica economica fu più conservatore della maggior parte dei Tory. “Non fa parte del mio incarico come cancelliere dello Scacchiere proporre ai Comuni di spendere soldi pubblici”, dichiarò ai colleghi del parlamento. “La funzione del cancelliere dello Scacchiere, per come la vedo io, è resistere a tutte le richieste di spesa dei colleghi e, quando non può più farlo, limitare le concessioni al minimo”. Nonostante ciò, Keynes rimase sulle sue posizioni, la spesa era essenziale e lo spreco il minore dei mali: “Con gli investimenti interni, persino se mal consigliati o gestiti in maniera stravagante, per lo meno il paese otterrà un miglioramento equivalente. Il progetto di edilizia pubblica peggio pensato e più balordo immaginabile ci lascia comunque qualche casa”, scrisse. Tornò poi alla sua proposta radicale in un secondo articolo per il “Nation”.“Pensando a come stimolare gli investimenti in patria arriviamo alla mia eresia, sempre che sia un’eresia. Propongo lo stato, ripudio il laissez-faire… Esso affidava il benessere pubblico all’impresa privata senza aiuti e controlli. L’impresa privata non è più incontrollata, essa è controllata e minacciata in tanti modi diversi… E se l’impresa privata non è incontrollata, essa è controllata e minacciata in tanti modi diversi… E se l’impresa privata non è incontrollata, non possiamo lasciarla priva di aiuti”.
Concordo con Nicholas Wapshott: “Sempre più appassionato al tema, Keynes era ormai pronto al passo successivo della sua attentamente gestita rivoluzione intellettuale: dimostrare che il liberismo era falso, illogico, e che era stato sorpassato dagli eventi. Avviò questo suo ragionamento durante la Sidney Ball Memorial Lecture alla Oxford University, con un discorso intitolato La fine del laissez-faire…”. Orbene, lo strumento pratico per realizzare questa “grandiosa semplificazione” che consisteva nell’uccidere il drago del liberismo è stata la nazionalizzazione delle Banche Centrali di tutto il mondo. Cioè la statalizzazione del gioco d’azzardo. E’ lo stesso Elio lannutti, di sinistra estrema, a confermarlo (sic!) a pag. 99 di Morte dei Paschi, dove emerge involontariamente un nesso causale tra la Great Society di Keynes (sopravvissuta alla stessa amministrazione Reagan) e il crollo rovinoso delle banche americane nel 2007: “Agosto 2007. I problemi del mercato dei subprime cominciano ad allargarsi a livello globale, mentre hedge fund e banche internazionali rendevano noto di avere in portafoglio attività collegate a obbligazioni garantite da mutui. La francese Bnp Paribas comunicò che gli asset detenuti da tre dei suoi fondi d’investimento erano stati congelati a causa delle condizioni di liquidità sul mercato. Il motivo era l’aumento considerevole di persone che non riuscivano a pagare i mutui messi a garanzia delle obbligazioni, con particolare riguardo per i cosiddetti subprime, ovvero mutui rifanziati con altro indebitamento, a più lunga scadenza, in modo da ridurre la rata che i contraenti (ad esempio una famiglia che aveva preso casa) non riuscivano più a pagare.Altre banche europee fecero annunci simili… Settembre 2008. Wall Street cambiò volto. Bank of America annunciò l’acquisto di Merrill Lynch per 50 miliardi di dollari. 7 settembre. La Federal Reserve e il Tesoro salvarono i giganti semipubblici del mercato dei mutui, Fannie Mae e Freddie Mac, mettendoli sotto l’ombrello del bilancio federale. Le due società avevano un rapporto mezzi propri-debiti da hedge fund pari a 1 a 30, e gli investitori volevano più garanzie. Il segretario al Tesoro, Henry Paulson (ex amministratore delegato di Goldman Sachs), annunciò la nazionalizzazione, con la possibilità di investire miliardi e miliardi di fondi pubblici in ciascuna delle due mega finanziarie. Era dagli anni Trenta che non accadeva qualcosa del genere (quando Roosevelt e Keynes governavano insieme alla Casa Bianca, ndr)…”. La scena si ripete oggi, con la nazionalizzazione di fatto della Banca Carige a Genova (vedi l’articolo Bail out Carige). Ps – La grande ironiaè che lo stesso Keynes, giocatore d’azzardo nel senso tecnico della parola, ci lasciò la pelle mentre andava perfezionando l’azzardo dell’egualitarismo post-comunista. E l’Occidente sta morendo di iper-democrazia. La soluzione è una sola: bisogna tornare al laissez-faire, come rimedio al sovranismo. Prima del crac.
di Alexander Bush