“… Recentemente Indro Montanelli ha sottolineato un aspetto assai significativo di Mussolini giornalista: le qualità di “fondista”.
“Di altro non s’interessava” – osserva Montanelli – “perché il giornale, per lui, era uno strumento di battaglia politica che si faceva nel “fondo”, di cui egli si attribuiva l’esclusiva. Il resto – la grafica, la titolazione, la cronaca, la critica artistica e letteraria – non lo interessava minimamente”.
Renzo De Felice, “Storia del Fascismo” a cura di Claudio Siniscalchi per Libero
Nell’aprile del 2021 è uscito per l’ennesima volta su “La 7” il film “Mussolini, ultimo atto” con Rod Steiger, di Carlo Lizzani (anno 1973): Steiger prendeva il litio per la cura del disturbo bipolare.
Personalmente sono contrario, poiché si tratta del più potente stabilizzatore dell’umore in commercio che previene sul nascere la “liaison dangereuse” tra fase maniacale dell’umore e caduta dello stesso, al prezzo di una normalizzazione mediocratica del soggetto assuntore di litio e anche di un danneggiamento del Sistema Nervoso Centrale.
Ho conosciuto bene Antonella Camerana, assuntrice trentennale dei sali di litio, che per sua stessa ammissione ha la memoria massacrata e l’uso complessivo dei parametri normeterici della logica menomata (le sono vicino).
Orbene, la prima volta che avevo visto il film era nell’aprile del 2003 a Velletri nei Castelli Romani.
All’epoca soffrivo della sindrome di Stoccolma con un mio compagno di classe, tale Giovanni Gabrielli, del liceo classico di Velletri e in conseguenza di ciò venni bocciato (la mia vita da allora cambiò per sempre, a causa di sofferenze notevoli negli anni successivi che mi portarono a fare alcune stramberie gravi).
Già a 15 anni mi ero accorto, divorato dalla passione per la politica, che il film in questione era tra il mediocre e il bello dunque né mediocre né bello; ottima infatti è stata la sintesi del giurista Ferdinando Cionti: “Il film è discreto, niente di eccezionale, ma formidabile è stata l’interpretazione data da Rod Steiger”. E vi pare poco?
L’opera è data dai “miracoli del caso”, per citare Honorè De Balzac interpretato da Philippe Brenot.
L’elemento più significativo della citata pellicola che mi colpì subito a 15 anni è il “falso verosimile” del Duce che gli studenti delle scuole medie e dei licei dovrebbero studiare attentamente: l’accademica Liliana Dell’Osso, donna di grande fascino, l’ha ribattezzato “Sindrome Marilyn: looking good, feeling bad”: recitare bene, stare male.
Mussolini che esclama: “Le ceneri di Dante, Dante!” ormai nel crepuscolo della Repubblica Sociale Italiana al generale tedesco ingombrante incaricato di tutelarne la sicurezza personale tra gli “stati misti dell’umore”, non ha mai letto Dante Alighieri in vita sua (sic!) ma opera un meccanismo di “sospensione dell’incredulità” – vedi Sharon Stone in Basic Instinct – che è stato bene analizzato dagli psichiatri Marcella Piazza e Beppino Disertori ne “Il profilo patobiografico di Benito Mussolini”: “… Ho veduto Mussolini (Piazza, ndr) e l’ho direttamente ascoltato, cioè non per radio, ma dalla viva voce, una sola volta: a Trento, in occasione di grandi manovre militari, dopo la conquista dell’Etiopia. Mi recai in un caffè antistante la piazza del Duomo, nella quale era stata allestita una tribuna, donde egli arringò la folla. Ero con il mio fraterno amico Giannantonio Manci, poi eroe e martire della Resistenza al nazismo. Dal nostro osservatorio potevamo vedere e ascoltare senza farci vedere, e perciò senza implicare adesioni.
Ebbene, quella voce calda, suadente, esplicò su di me un effetto indiscutibilmente suggestivo, a prescindere dai contenuti esposti. Dovetti cacciare le mani nelle tasche per evitare il rischio di mettermi ad applaudire all’infuori della mia razionalità e volontà.
Eppure, quando egli s’era affacciato alla tribuna nel suo stereotipo e truculento autoingrossamento, avevo avvertito uno spontaneo impulso all’ilarità. Ma nel frattempo s’era svincolata in me, inavvertitamente, l’arcaica mimesi inconscia, propria della suggestione e dell’ipnotismo. Veniamo alla risposta psico-biologica di alterazione oniroide e agglutinante della realtà, la quale risposta domina la psicopatologia degli schizofrenici e di altri pazienti psicotici…”.
Il Mussolini che in presenza di Rodolfo Graziani (un imbecille), di Riccardo Lombardi e del Cardinal Schuster interpretato magistralmente da James Fonda nonché di esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale esclama con accento emiliano: “La socializzazione dei mezzi di produzione è un imperativo categorico della Repubblica Sociale Italiana” – come già osservai dentro di me a 15 anni – lascia stupefatti i suoi interlocutori (sic!) poiché non è capace nella suddetta circostanza di distinguere la realtà dalla fantasia, un fatto (questo) che sarà la causa fondamentale della sua rovina e poi della sua violenta dipartita per mano dei partigiani comunisti;
ancora, nel bellissimo film “Un tè con Mussolini” di Franco Zeffirelli, c’è una scena memorabile dove il Duce, con pagliaccesco manierismo stereotipo, in un incontro a Palazzo Venezia con un’ingenua aristocratica inglese, afferma: “Grande paese, l’Inghilterra! Avete avuto il poeta Byron”.
Ma di Lord George Byron, Mussolini forse non lesse neanche una parola. “Tre indizi sono una prova”: per citare Agata Christie.
Tradotto: tutti questi episodi velocemente riassunti hanno un comune denominatore che li lega: il Duce del Fascismo non era andato “al di là del principio di piacere”, non a caso il titolo della principale opera di Sigmund Freud: forse, a conti fatti, l’unica parte che si salva veramente del lavoro clinico dello psichiatra tedesco (per il resto, Freud ha fatto più danni che altro).
Questo è un punto della massima importanza, che vale la pena di chiarire una volta per tutte.
C’è un passaggio assolutamente degno di nota nel monumentale Mussolini del grande storico inglese Denis Mack Smith, che bisogna sottolineare con la matita rossa: “… Mussolini and the economy – Mussolini invented a story that he had studied economics in his youth as a pupil of that “prince of economists”, Vilfredo Pareto, and was evidently ansxious to establish his own credentials as those of someone whose economic policy was sound – indeed, as he told one of the richest men in Italy, his economic intuition “was almost infallible”. Here as elsewhere he knew it was psychologically right to give an impression of confidence and certainty, though the truth was that, like Hitler, he had little understanding of the subject and not much interest in it. All the experts knew this and his lack of knowledge obviously placed Italy in some danger…”.
Ma certo! Sia Adolf che Benito erano rimasti fermi al “principio di piacere”, senza utilizzare quelle facoltà mentali che pure essi avevano in ragione del loro elevato quoziente d’intelligenza!
Credevano di essere nati imparati, di poter saltare il porto vedendo l’orizzonte!
Ma facciamo la seguente ipotesi sulla base di un ragionamento “controfattuale”: “Se il Colosseo fosse in Antartide, sarebbe pieno di pinguini” (per citare George Soros): se Mussolini avesse studiato veramente Vilfredo Pareto (sic!), con il quale tra l’altro ebbe dei problemi personali quando l’economista si rese conto che era stato manipolato dal Duce con il trucco del “falso verosimile” – un compito che egli era certo in grado di adempiere con solo un po’ di disciplina e sacrificio: quelle qualità che a giudizio di Ignazio Silone gli mancavano tout court – avrebbe superato il complesso d’inferiorità verso la “demoplutocrazia reazionaria” di Francia e Inghilterra, che lo portò invece a scegliere la disastrosa alleanza al fianco di Adolf Hitler: etiologicamente esiste un nesso di causalità tra il “falso verosimile” adottato sulla questione di Vilfredo Pareto e il disastroso errore del 10 giugno 1940, tra l’altro commesso tra gli stati misti dell’umore.
Non sarebbe stato così diminuito nella sua opera umana e politica dalla confusione preesistente tra fantasia e realtà (si veda ad esempio il capolavoro di Giuseppe Tornatore “L’uomo delle stelle” con Sergio Castellitto); e non avrebbe mai potuto pronunziare dal balcone di Palazzo Venezia
quel discorso paradelirante sulla dichiarazione di guerra a Gran Bretagna e Francia al fianco di Hitler che fu definito da Indro Montanelli “il peggior discorso della sua carriera”.
“D’ou vient c’est mélange de génie et de stupiditè?”, Robespierre dixit: perché l’alternativa alla conoscenza – quando essa non è utilizzata – è la fantasia, o addirittura l’imbroglio.
Nel discorso del fondatore del Fascismo si sommano al limite del cold case tutte le contraddizioni dell’uomo nella mediocrità complessiva dell’exitus finale: “Combattenti di terra, di mare, dell’aria, Camicie Nere della Rivoluzione e delle Legioni, uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania, ascoltate: “Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria, l’ora delle decisioni irrevocabili. “La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia…”: la prosa enfatica del giornalista di provincia travestito da condottiero trascina l’Italia in un’avventura disastrosa.
Ps – Quando nel luglio 1943, in stato di detenzione dopo l’arresto ordinato da Re Vittorio Emanuele III, Mussolini ripensò melanconicamente alla sua requisitoria di Palazzo Venezia, tentò il suicidio tagliandosi le vene (vedere Pierluigi Baima Bollone), e si sentì un impostore.
Capì che se avesse ascoltato Margherita Sarfatti sarebbe potuto diventare uno dei più grandi intellettuali italiani, ma che la presunzione del Narcisismo lo aveva fregato. Egli si sentiva un impostore. Ed era solo un po’ meno grave di Hitler. Un risultato un po’ magro, a conti fatti!
Mentre Sir Winston Churchill seppe domare se stesso, eccellendo nel polytropos delle attività: storico, politico, scrittore, disegnatore, Primo Ministro, ecc…
You can’t have the cake and eat it.
di Alexander Bush