Il Canale di Suez: da sempre un sogno dell’uomo e una prova che bisogna sempre e comunque rispettare la natura
Congiungere le terre al mare, congiungere i fiumi al mare, congiungere i mari tra loro. È sempre stato il sogno di tutti gli uomini, in particolare di quel popolo che vive tra Nilo, Mar Rosso e Mediterraneo: gli egiziani. Che io conosco bene, vivendo qui al Cairo.
Un sogno che l’Egitto cominciò a tradurre in realtà nel 1300 a.C., quando Ramsete II tracciò un canale che collegava Nilo a Mar Rosso; e che nel corso della storia non cessò di essere perseguito. Ci provarono infatti in tanti a togliere dall’isolamento l’Egitto: il faraone Nekao II nel 600 a.C., la cui impresa di collegare il Delta al Mar Rosso è testimoniata dalle parole di Erodoto; Dario di Persia, che congiunse per la prima volta Mar Rosso e Mediterraneo nel 500 a.C. col cosiddetto “Canale dei Faraoni”; Tolomeo II nel 300 a.C., che ne approntò alcune cruciali modifiche; Traiano nel 100 a.C., il cui “Amnis Traianus” pare rimase però solo a livello di abbozzo; il generale arabo Mu’awiya, che ripristinò il vecchio Canale dei Faraoni rinominandolo “Canale dei Principi della Fede”, e spingendo le sue flotte fino alle principali coste del Mediterraneo.
Sepolto nella sabbia dall’825 in poi, il canale dovette aspettare il 1500 prima che qualcuno ne riconoscesse le antiche vestigia sommerse dal deserto: monaci cristiani inviati dal papa in Abissinia che, di fronte al prodigio, esclamarono: “Largo cento piedi, profondo trenta e per metà ricoperto di sabbia, doveva certamente collegare il Mar Rosso al Mediterraneo”.
Dunque il canale esisteva, era esistito. Era solo scomparso.
Nel periodo ottomano le città costiere del Mar Rosso subirono però un progressivo declino e nessuno si premurò più di riprendere l’antico sogno faraonico. Solo il filosofo Leibniz nel 1670, che nel suggerirne lo scavo a Luigi XIV fu però preso per pazzo. Ci dovette pensare Napoleone a ribilitarne l’intuizione; ma di fronte alla riserve dei suoi ingegneri– che temevano un’inondazione dell’intero Egitto e uno sconvolgimento delle coste mediterranee – dovette abbandonare il proposito.
E finalmente si giunse al 1854, quando Ferdinand de Lesseps elaborò un progetto per la costruzione ex novo del canale, e approvata la proposta dal viceré d’Egitto Mohammad Said fu fondata la “Compagnie Universelle du Canale Maritime de Suez”, che il 17 settembre del 1859 inaugurò i lavori.
Il resto è storia nota. È storia di contese, guerre, aggressioni, difese e trattati. Con il congresso di Berlino del 1878 si aprirono le danze.L’amministrazione del canale venne sottratta per una risibile cifra di 100 milioni di franchi all’Egitto e ceduta alla Gran Bretagna. Poi il canale diventò territorio di aggressioni senza fine. Nel 1915 l’impero ottomano tentò invano la sua occupazione. Nel corso della seconda Guerra Mondiale venne attaccato da italiani e inglesi, che sconfitti nel 1942 a El-Alamein furonocostretti a capitolare. Nel 1954 Nasser annunciò, in un clima di tensione con Israele, la nazionalizzazione del canale, a cui fece seguito l’attacco congiunto franco-inglese subito neutralizzato dagli Stati Uniti, che temevano l’ingresso nel conflitto di Mosca a fianco degli egiziani: nel 1957 gli israeliani lasciarono così il Sinai e le due potenze europee ritirarono le loro truppe.
Poi c’è la storia recente, il 1967, il 1973, altre guerre, altri conflitti tra Egitto e Israele. Fino alla decisione di El-Sisi di riproporre il paese nilotico al centro dello scacchiere mediorientale e internazionale. Un sogno anche questo: lo stesso degli antichi faraoni. Un sogno di potere, sulla terra e sui popoli, che il nuovo canale torna a rendere di stringente, politica e strategica attualità.
Già, perché se il canale esistette fin dall’antichità il fatto che venne sommerso dalla terra, cioè dalla natura, è forse il segno che terra e natura lanciarono da sempre il loro monito: non osare più di quel che la natura ti concede, forse ne pagherai un prezzo alto.
Qui finisce la mia breve, ma spero utile, infarinatura storica sul Canale. Per comprendere che gli uomini sono sempre quelli, i loro sogni pure, le loro ansie di potere idem
Marco Alloni