Il Paese dove fioriscono i tartufi

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“per l’Albatros Dino Cofrancesco interviene a commento delle dichiarazioni di Arbore in ricordo della celebre trasmissione “indietro tutta”.
Perché in Italia anche chi ha fatto uno spettacolo “leggero” e divertente deve giustificarlo con motivazioni di censura morale?”.

Dal 14 dicembre 1987 all’11 marzo 1988, in seconda serata, RAI 2 mandò in onda 65 puntate della trasmissione televisiva di Renzo Arbore e Ugo Porcelli, Indietro tutta! Un programma divertente, intelligente, a tratti persino geniale, che riconfermava l’indiscussa professionalità di Arbore, attore, cantautore, direttore d’orchestra, clarinettista, uomo di spettacolo al quadrato. Lo svogliato studente foggiano di Giurisprudenza, all’Università Federico II di Napoli, aveva, per così dire, nell’ambito della televisione, elevato ad arte lo spirito goliardico, e il celeberrimo programma Quelli della notte, lo aveva consacrato tra i grandi innovatori della comunicazione massmediatica.
Indietro tutta! era una parodia irriverente dei giochi a premi che tanto appassionavano i telespettatori. Si fingeva una gara tra concorrenti del Nord e del Sud supervisionata da Arbore, in alta uniforme di ufficiale di marina, e diretta dal ‘bravo presentatore’Nino Frassica. Esilaranti alcune gag che avrebbero alimentato autentici tormentoni: ’Volante uno Volante due’ con gli agenti Frontone e Frangipane (dall’accento inconfondibilmente meridionale):’chiamo io.. chiama leí’con un finto Prof. Pisapia, rinchiuso sotto la tolda della nave di Arbore’;’ che sta pensando quiz’ etc. Il tutto condito da gradevoli canzoni d’epoca, da interviste con grandi attori, comici, cantanti ,da performances comiche nuove o riprese da vecchie trasmissioni in uno scenario sgargiante di luci, affollato di protagonisti (non tutti divertenti, tale non era il ‘Riccardino’ di Mario Marenco) e da centinaia di comparse in fantasmagorici costumi. Memorabili, soprattutto, i balletti delle ragazze coccodè e delle cariocas che reclamizzavano un parto della fertile fantasia di Arbore, il cacao Meravigliao, prodotto dall’immaginario ‘sponsorao della nostra trasmissao’(grazie al cacao Meravigliao Arbore ebbe un premio dai pubblicitari italiani: il primo assegnato a un articolo inesistente).
Quando qualche anno fa il programma venne ripreso in ore antelucane fummo in molti ad alzarci dal letto con qualche sacrificio certi di rinnovare il divertimento di venticinque anni prima. E non restammo certo delusi.
Non avrei ricordato la trasmissione di Renzo Arbore se, qualche sera fa, RAI Storia, non avesse intervistato i protagonisti e non avesse chiesto loro di far la storia del programma e delle sue finalità ‘culturali’. Ne è venuta fuori non l’Italia dello spiritoso anchorman apulo-napoletano ma l’eterno paese dei tartufi. Ricordando anni ormai lontani, infatti, l’ideatore di Indietro tutta!, Porcelli e Frassica hanno presentato la loro opera come una consapevole, meditata, satira di costume, una reazione alla volgarità imperante che dalle tv commerciali aveva ormai investito e contaminato la stessa RAI. Che parodia ci fosse—e, ripeto, coltissima e divertentissima—ce n’eravamo accorti ma l’intento dissacratorio ci era proprio sfuggito. E tanto meno la severa censura del facile, volgare, erotismo dei varietà televisivi di Mediaset. Le ragazze Coccodè e quelle del Cacao Meravigliao (tra l’altro molto chiacchierate per la loro ‘generosità’ dietro le quinte..) indossavano costumi così succinti che i carcerati o le reclute consegnate in caserma avrebbero fatto meglio a non vederle. Inoltre allusioni erotiche, talora anche molto scoperte, non mancavano nel corso della trasmissione (e un po’ nella stessa sigla di chiusura Vengo dopo il tiggì), all’insegna di un allegro e liberatorio superamento dell’etica tardo vittoriana degli anni 50 e 60. Nulla di male, per carità, neppure la telecamera che dai piedi si alzava verso i luoghi edenici delle bellissime vallette—per registrare, se ben ricordo, gli indici di ascolto. E se non pochi telespettatori più che le battute o le telefonate di Frassica, aspettavano l’esibizione di tante fanciulle in fiore, poco male: si vive una volta sola e a una certa età, come si dice nel Sud tanto amato da Arbore, bisogna rassegnarsi : uocchie chine e mane vacante (occhi pieni e mani vuote).
Detto questo, però, diventa non poco patetica una ricostruzione storica che promuove un intrattenimento giustamente memorabile, a una sorta di florilegio delle odi civili pariniane in formato TV o di satire di Giovenale aggiornate o di Dialoghi di Luciano di Samosata. Una critica violenta, a tratti ingiusta, della tv commerciale l’aveva già fatta qualche anno prima Federico Fellini col suo grande (ma non da tutti apprezzato) film Ginger e Fred (1985): lì si coglieva lo sgomento del maturo regista dinanzi ai nuovi stili comunicativi, all’invadenza degli spot, all’ossessiva presenza dei prodotti reclamizzati, allo svuotamento dei simboli (il frate miracoloso, il vecchio eroe di guerra, l’audace trans, la coppia spiritista, il vanesio romanziere di successo: tutti sbattuti lì per soddisfare curiosità passeggere, per fare audience) Era l’inferno su questa terra scatenato dagli imperativi pubblicitari . Da Ginger e Fred si usciva con un senso di angoscia che si cercava di rimuovere al più presto per continuare a vivere; finita la puntata di Indietro tutta!, si continuava a ridere e cantarellare la sigla di apertura Sì, la vita è tutta un quiz.
Insomma è mai possibile che nel nostro pese di tartufi, anche persone autoironiche come Arbore sentano il bisogno di legittimarsi portando il loro ‘granello di sabbia’ alla redenzione intellettuale e morale degli italiani? E’ come se, per una maledizione atavica scagliataci addosso dai piagnoni di Fra’ Girolamo Savonarola, per essere presi sul serio, si dovesse continuamente esibire e documentare un convinto, pervicace, impegno etico-politico. Per acquisire benemerenze e venire presi in considerazione dai media che contano (da ‘Repubblica’ alle redazioni televisive) non basta aver divertito il pubblico (e magari solleticato appetiti erotici sopiti): bisogna dare a quel che si è fatto un significato ‘epocale’, inquadrarlo in una missione pedagogica, sbatterlo in faccia all’Italia di Berlusconi, della Minetti, di Emilio Fede.(che, a ben riflettere, sono il volto plebeo della stessa, identica, sostanza etica di Indietro tutta!).
Suvvia, Arbore, se ci prendessimo tutti un po’ meno sul serio, non vivremmo in un clima politico più disteso e non respireremmo un’aria più leggera? Nessuno di noi è uno stinco di santo, né per Papa Bergoglio né per Papa Rodotà. La moralità dell’uomo di spettacolo non sta nella denuncia della volgarità del mondo (che volgare è sempre stato) ma nella vendita di buoni (o ritenuti tali) prodotti artistici sul mercato (a proposito, ‘mercato’ non è una parolaccia..).

Dino Cofrancesco

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Dino Cofrencesco
Dino Cofrancesco è uno dei più importanti intellettuali italiani nel campo della storia delle dottrine politiche e della filosofia. E' autore di innumerevoli saggi e tra i fondatori dei Comitati per le Libertà. Allergico all'ideologia dell'impegno, agli "intellettuali militanti", ai profeti e ai salvatori del mondo, ai mistici dell'antifascismo e dell'anticomunismo, ha sempre visto nel "lavoro intellettuale" una professione come un'altra, da esercitarsi con umiltà e, nella misura del possibile, "senza prendere partito". Per questo continua, oggi più che mai, a ritenere Raymond Aron, Isaiah Berlin e Max Weber gli autori più formativi del '900; per questo, al tempo dell'Intervista sul fascismo di Renzo De Felice, si schierò, senza esitazione, dalla parte della storiografia revisionista, senza timore di venir accusato di filofascismo.

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