Circa vent’anni fa c’è stata presso tanti politologi (e non solo) un’infatuazione per il “partito leggero”. Dopo il “partito-chiesa”, il partito con strutture burocratiche, scuole di partito, correnti di tutti i tipi, congressi a tutti i livelli, grandi tradizioni ideologiche che per cinquant’anni aveva caratterizzato la Prima Repubblica ecco il partito all’americana:
un partito snello, con pochi quadri, poca ideologia e tanto pragmatismo, un partito legato non alla burocrazia e alle correnti, ma alla figura di un capo carismatico, un partito che funge più da comitato elettorale che da struttura di potere.
Orbene cosa è rimasto di questo sogno dopo vent’anni?
È stato evidenziato in questi giorni dall’impietosa decadenza della Lega: un partito finito a poco a poco in mano a personaggi dalla dubbia onestà e capacità, con un capo malato e quasi incapace di esprimersi, circondato da un gruppo di “famigli” scelti più per la fedeltà incondizionata che per capacità e, ovviamente, interessati a che tutto rimanga immutato perché solo in questo modo riescono a rimanere al potere.
Ma questo non avviene in America, dove il “partito leggero” è la norma e funziona tutto sommato abbastanza bene (vedi il nostro “Se vuoi far l’americano” di Ennio Caretto). Perché?
La differenza fondamentale sono le primarie: in America tutti i politici vengono scelti dai cittadini attraverso una votazione. Non esistono incarichi “a vita”: se i cittadini ritengono che il politico abbia fatto il suo tempo lo cambiano, non devono aspettare che si ritiri o venga travolto dagli scandali.
Solo affidando agli elettori la possibilità di scegliere attraverso i metodi della democrazia diretta si potrà avere uno stato di cittadini e non di sudditi
Angelo Gazzaniga
Portavoce dei Comitati per le Libertà