La libertà di espressione per tutti è fondamentale in un mondo liberale. Ma, soprattutto i giornalisti, dovrebbero perlomeno saper rimarcare le differenze: altrimenti la libertà di giudizio dei lettori rischia di affievolirsi
Il Corriere della Sera, il quotidiano della borghesia (liberale) italiana, vende i libri della biblioteca di papa Francesco. E quando un libro del pontefice esce in libreria, quasi certamente la prima pagina del Corriere o quella della Cultura pubblicano l’anticipazione.
Come prima riflessione, a mio parere, troverei più interessante, stimolante e utile culturalmente che il primo giornale italiano vendesse i libri messi all’indice dalla chiesa nella sua storia: Boccaccio, Copernico, Erasmo da Rotterdam, Macchiavelli, Rabelais, per citarne alcuni. Solo in questi cinque autori c’è parte migliore dell’individuo, linfa per la democrazia: il lato spirituale dell’uomo, la libertà, il progresso, la scienza.
Va da sé che in tale clima il paese ospite del Salone del libro di Torino sia stato la Santa Sede. Senza scomodare il Sillabo di Pio IX è evidente che la chiesa consideri i principi liberali nei suoi fondamentali antitetici ai suoi: si accolga la semplificazione, la libertà nei comportamenti in tutte le sue forme che si fermi laddove inizi quella degli altri, il merito, la ragione.
Certo viviamo nell’epoca della comunicazione e del marketing. Quante analogie tra punti esclamativi e linguaggio assertivo nei discorsi di Francesco (“i bastonati nel confessionale”) e di Matteo Renzi (“le ruspe nella pubblica amministrazione”). Sicuramente la ricerca del consenso è legittima. Francesco ha ottenuto visibilità mediatica persino facendo gli auguri a Marco Pannella uscito dall’intervento ospedaliero.
(E qui bisognerebbe affrontare un altro argomento che dovrebbe stare a cuore a tutte le persone libere: marcare le differenze, che esistono. Perché far passare l’idea che il pensiero di Giovanni XXIII e quello di Giovanni Paolo II siano simili?)
Sì alla libertà di espressione per tutti, ma, a mio parere, bisogna vigilare. A maggior ragione noi giornalisti dovremmo valutare le modalità di comunicazione dei leader e accogliere in modo più critico quanto arriva in redazione. Il rischio è grande. L’autonomia di giudizio delle persone e la libertà di pensiero possono essere scalfite, giorno dopo giorno, telegiornale dopo telegiornale, e la democrazia si indebolisce. Magari basta una foto, come quella di un pappagallo che casualmente si posa sulla mano del papa.
Ernesto Vergani