A cosa si oppone la Camusso? Al passaggio da un regime classista incostituzionale in cui i sindacati hanno potere di decisione e di veto ad un regime costituzionale di tipo occidentale in cui le decisioni vengono prese dal governo
Il Corriere della Sera del 7 maggio 2014 riferiva che, in occasione del congresso CGIL, Susanna Camusso aveva affermato che “il governo ha una logica di autosufficienza” cosicché starebbe determinando “una torsione democratica verso la governabilità a scapito della partecipazione” e che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva risposto che lei, “attacca il governo soprattutto perché teme di perdere il suo ruolo”, ma che i sindacati “devono capire che la musica è cambiata, devono capire che non possono decidere tutto loro o bloccare tutto”. Non mi risulta che lo scontro sia stato commentato nei suoi aspetti giuridici. Come se si trattasse di un fisiologico contrasto di poteri nell’ambito di una normale dialettica istituzionale.
E in un certo senso è così, se si tiene conto del ruolo assunto di fatto dal sindacato negli scorsi decenni e, dunque, della cosiddetta costituzione materiale, peraltro sempre sottintesa, mai manifestata e, tanto meno, esplicitamente come nel caso. Non è così, se si tiene conto della costituzione formale, appunto e solo formalmente, vigente. Infatti:
Il governo non ha una logica di “autosufficienza”, ma per l’art. 95 della costituzione è autosufficiente, nel senso che- sebbene non sia autonomo dagli altri poteri dello stato, essendo subordinato al potere legislativo che gli concede o meno la fiducia ed al potere giurisdizionale che ne può perseguire i componenti- lo è certamente nei confronti di qualsiasi altro subpotere pubblico o privato. E la CIGL è un ente privato, rappresentativo di una ben determinata classe, quella dei lavoratori, in contrapposizione ad un’altra ben determinata classe, quella dei capitalisti, per cui apprendere che finora il governo non era autosufficiente (sinonimo/foglia di fico per autonomo) nei suoi confronti equivale ad ammettere quel che, non a caso, si era sempre sottaciuto finora e cioè che siamo vissuti in un regime classista incostituzionale. E, come se non bastasse, la CIGL non è affatto disposta a rinunciare alle sue conquiste, realizzate con le “lotte” operaie.
Più ambigua è la questione della “torsione” (?) democratica. Se per democrazia si intende quella formale liberale è innegabile la sua positività: l’autonomia del potere esecutivo, e quindi la governabilità, non limitata dalla condivisione di tale potere con un ente privato (e classista) è il minimo che si possa pretendere. Se viceversa per democrazia si intende quella sostanziale, propria del comunismo, è chiara la sua negatività: le istituzioni liberali borghesi sono solo fumo negli occhi, il potere vero si esercita con la forza (di qualunque tipo, ivi comprese le manifestazioni violente) a favore di una classe (e non illusoriamente in modo equanime), e quindi la CIGL ha ragioni da vendere.
Dal lato opposto, le risposte di Renzi confermano puntualmente quanto sopra. Il sindacato teme di perdere il ruolo che ha avuto finora e cioè “di decidere tutto loro o bloccare tutto loro”, vale a dire di condividere- se non addirittura di esercitare, come recentemente testimoniato dal sindaco pd Michele Emiliano, parlando in televisione di trasporto pubblico comunale- il potere esecutivo e legislativo in materia. E, detto per inciso, Zagrebelsky & C hanno più che validi motivi per sostenere la debolezza del capo del governo, altrimenti non condizionabile.
Insomma si tratta, almeno per il rilevantissimo settore del lavoro, del passaggio da un regime classista incostituzionale, imposto di fatto e inconsapevolmente subito dal popolo (sovrano?) ad un regime occidentale costituzionale. E scusate se è poco.
Ferdinando Cionti