“Your time is limited, so don’t waste it living someone else’s life. Stay hungry, stay foolish,
because only those are crazy enough to think they can change the world they really change it”
Steve Jobs, “Genio e follia 2.0” di Liliana Dell’Osso e Primo Lorenzi
Questo è il momento storico più grave dal 1940: un essere che brillava dal fondo delle tenebre (vedi Karl Jaspers, ndr) attaccava l’Inghilterra.
Fu l’ora più buia nella storia mondiale dai tempi dell’oscurità anti-cristiana di Nerone.
Il coronavirus richiede le risposte proprie del “pensiero divergente” ad un’emergenza senza precedenti dalla spagnola del 1918: come ha detto il brillantissimo commentatore Beppe Severgnini, “io non vedo il Piano Conte. Non basta la capacità di saper mediare”. No, ovviamente la mediazione non basta: occorre avere una Weltanschauung. Non è però questo – ancorché rilevante – il solo problema, poiché ne esiste un altro puntualmente analizzato dagli illuminanti Alessandro De Nicola e Giancarlo Mazzuca rispettivamente alla voce “La mano visibile e L’altra faccia” “Un prestito degli italiani per gli italiani” (ambedue le ottime analisi in senso liberale di De Nicola e Mazzuca si collegano in prospettiva alla cosiddetta “società aperta” teorizzata e praticata da George Soros): il virus dell’Ideologia, che altera ab origine un approccio pragmatico ai problemi, che poi è nei fatti la “opening society”; nella requisitoria “Senza mercato e concorrenza il grande piano di rilancio sarà un’occasione perduta”, il Presidente di Adam Smith Society De Nicola osserva con una punta di amarezza: “… Il documento del governo moltiplica ruoli e burocrazie ma non contiene valutazioni sulle ragioni dei ritardi del Paese né tantomeno le riforme conseguenti… Le politiche attive del lavoro vengono menzionate ma, nonostante l’insuccesso dei navigator, si insiste a non affidare a meccanismi trasparenti di mercato l’incontro di offerta e domanda di lavoro…”.
Orbene, tutto questo accade perché il Governo ha un pregiudizio nei confronti della “autoregolamentazione dal lato dell’offerta”, ideologicamente respinta: che poi è anche il nucleo filosofico della Mano Invisibile. Accanto all’analisi, come sempre molto pulita e precisa di De Nicola – uno degli esponenti più illuminati della borghesia meneghina –, compare quella di Mazzuca: “Bruxelles sembra, ormai, la nostra unica ancora di salvezza. Basterebbe invece guardare al nostro passato per scoprire che ci sarebbero pure vie d’uscite italiane da affiancare a quelle Ue. E’ molto strano il fatto che, in questi momenti di emergenza post-bellica da Covid, nessuno (o quasi) abbia ricordato la figura di Alcide De Gasperi, primo presidente del Consiglio della Repubblica, che varò il prestito della Ricostruzione: un esempio che sarebbe da imitare. “Oggi”, concludeva Mazzuca, “lo scenario è ovviamente molto diverso rispetto a quello di oltre 70 anni fa, ma la lezione dello statista trentino dovrebbe essere tenuta presente perché siamo adesso in condizioni, per certi versi, simili a quella stagione che precedette il miracolo economico… L’ipotesi di un nuovo prestito per la ricostruzione, che dovrebbe essere di una certa entità, è stata rilanciata, in questi mesi, da molti – Tremonti, Savona, Sapelli, Istafin e altri ancora – ma la risposta dei piani alti romani non c’è stata: silenzio assoluto… la nostra solidità finanziaria viene considerata al di sopra delle tre “BBB” delle società di rating. In effetti, anche se siamo abituati a stracciarci sempre le vesti, il nostro debito pubblico, pur a livelli record, ha un costo medio del 2,7 per cento, con una vita media residua di 8 anni e 7 mesi.
E lo spread, grazie agli interventi della Bce (interventi fatti da Draghi, ndr) appare sotto controllo. Insomma, ci potrebbero essere le condizioni giuste per varare il Prestito della Nuova Ricostruzione. O, meglio ancora, della Rinascita, un prestito degli italiani per gli italiani. Ma nessuno ne sta parlando”.
Insomma, ci potrebbero essere le condizioni per il Prestito. Ma non ci sono. Per un pregiudizio ideologico versus il deficit spending di John Maynard Keynes. Questo è lo sfondo del Grande
Malessere del 2020 nella tragedia epocale del Covid-19, cui s’è aggiunta la famigerata “variante inglese” pre-Happy Christmas. Ma il Regno Unito è guidato dal keynesiano Boris Johnson, che agisce come Roosevelt; abbiamo anche noi bisogno del nostro Roosevelt.
E il nostro potenziale Roosevelt è Mario Draghi, che non è tanto il competitor politico dell’“avvocato del popolo” Giuseppe Conte anche per ragioni biografiche (“l’uomo che ha salvato l’euro” è un tecnico estraneo alla “politique d’abord”), quanto piuttosto l’avversario pubblico n.1 di Mario Monti, il Professore della Bocconi dalla forma mentis semplice, proprio come lo era il suo maestro Luigi Einaudi: sia Einaudi che Monti erano innamorati della teoria della concorrenza perfetta, al punto da ritardare il primo la equilibrata ricostruzione post-bellica dell’Italia, mentre il secondo l’ha addirittura esposta al rischio default inserendo il vincolo del pareggio di bilancio in Costituzione nel marzo 2012: un fallimento. Ma soprattutto, una grave ottusità ideologica.
All’epoca Mario Draghi si trovava alla Banca Centrale Europea su posizioni pragmaticamente keynesiane, assistendo impotente all’austerity fondamentalista dell’altro Mario insediato a Palazzo Chigi. Pochi lo sanno, ma Monti e Draghi si combatterono ferocemente, essendo il secondo un liberal e il primo un nemico dell’“ideale della società aperta” di Soros nel suo asservimento ideologico ad Adam Smith; è sbagliato il diniego alla Mano Invisibile da parte del Piano nazionale di ripresa e resilienza del Governo Conte, ed è altrettanto sbagliato il vincolo di pareggio dello “psico-reato di Keynes” come lo battezzò “The Irish Times”: perché così facendo si piega la realtà all’ideologia, e si fanno dei disastri. Mentre “la realtà esiste, ed è unica per importanza” (come scrisse George Soros nel suo bestseller “La società aperta”), ed è una delle “grandiose semplificazioni” figlie dell’illuminismo kantiano quella di pretendere di subordinare la Realtà all’uso manipolatorio della ragione. E’ un’ipotesi falsa e un’affermazione menzognera quella di Herbert Marcuse: tutto è ideologia (sic!). Nell’Urss di Lenin, Stalin e Gorbaciov tutto era ideologia, e il Godfather Vladimir Putin è una diretta conseguenza della “società chiusa” che rifiuta la sua deideologizzazione.
Venendo al report del Group of Thirty presieduto da Raghuram Rayan e Paul Krugman tra gli altri, la “descente aux enfers” di Mario Draghi avviene in contrapposizione all’unilateralismo di mercato di Monti, e il deficit spending è di per sé una misura darwiniana che comporta lo scontro a somma zero tra vincenti e perdenti: il venture capital da una parte, e le “imprese zombie” dall’altra.
Steve Jobs o Stefano Ricucci: tertium non datur.
Infatti, come scrive Mauro Bottarelli nella sua stimolante analisi “Il rientro apocalittico e politico di Draghi”, “Fra le ricette attive che il report (del Gruppo dei Trenta, ndr) suggerisce, infatti, compaiono l’abbandono di programmi di aiuto a largo spettro e la limitazione del supporto governativo in aree dove il mercato stia fallendo”…”.
Non so se sia stato chiaro questo passaggio, ai non addetti ai lavori: vuol dire avallare politicamente il deficit spending (che in Italia non è mai stato varato e che non è certo l’interpretazione che ne ha dato Cirino Pomicino) come misura di sistema, all’interno di una riedizione del New Deal di Roosevelt e Keynes. Come aveva già osservato il cronista di razza Francesco Manacorda nella disattenzione generale, le cosiddette “zombie firms” – imprese zombie – vengono penalizzate da questo darwinismo aziendale sulla falsariga della reaganomics anti-pietistica di Steve Jobs, uno dei nipotini di Keynes.
Sempre da Bottarelli: “Per i due autori (del report, ndr) c’è la necessità urgente di agire prima che sia troppo tardi. Offrire supporto al settore corporate nel modo più efficiente ed efficace possibile è essenziale per proteggere gli standard di vita in tutto il mondo e preparare il campo per una resilienza economica di lungo termine e una crescita sostenibile…”.
Al bordo dell’apocalisse.
di Alexander Bush