Una recensione dell’ultimo libro di Pier Mario Fasanotti, da anni nostro collaboratore.
Che cosa unisce Giovanni Pascoli a Benito Mussolini, e i primi due a Leo Longanesi? E, ancora, Francesco Baracca e Tonino Guerra? Un poeta e un capo politico, un intellettuale del dissenso e un asso dell’aviazione, fino a un poeta letterato? Dieci secondi per indovinare la risposta, che comunque non dovrebbe sfuggire agli aspiranti lettori di Pier Mario Fasanotti.
Trovata? No? E allora eccola: è un quid particolare chiamato… “romagnolità”. Ebbene sì, tutti i personaggi famosi appena citati hanno avuto i natali all’interno di quel triangolo minuscolo – almeno secondo i parametri della Google Map – che se ne sta racchiuso fra il Po, il monte appenninico e la marina adriatica. Sommaria definizione geografica, questa, che funge anche da titolo a una raccolta di scritti dedicata a vari personaggi, e destinata a lasciare il segno.
Ciò che distingue Tra il Po, il monte e la marina (pubblicato da Neri Pozza, pagine 302) rispetto ad altre raccolte è il carattere fluido delle narrazioni. Non si tratta di racconti, poiché non vi è finzione e la trama non rispetta una precisa norma descrittiva. Ma nemmeno di biografie, dal momento che non sempre i vari personaggi vengono seguiti dalla culla alla tomba. Piuttosto esse sembrano somigliare a flash veloci, che colgono Aurelio Saffi, Pellegrino Artusi, il Passator Cortese, Ettore Muti, Federico Fellini e tanti altri, in momenti significativi delle loro esistenze, sufficienti però a darne un’idea complessiva e a tracciarne un bilancio esistenziale. Date le premesse, non può stupire che la prima e l’ultimo ad entrare in scena siano così diversi che più non si può. Si comincia cioè con Francesca da Rimini, la sfortunata amante descritta da Dante nel quinto canto infernale della Divina Commedia: e qui non è difficile concordare con l’autore sul fatto che si tratta dei suoi versi “più belli e tristi”, probabilmente insuperati dai tanti che in seguito si sarebbero provati a mettere su carta le passioni proibite e fatali di una donna per un uomo. E si finisce con il “pirata” della bicicletta, cioè quel Marco Pantani che esaltò all’inizio di questo secolo milioni di tifosi, e la cui morte rimane ancora avvolta, se non nel mistero, in una ridda di ipotesi. Francesca e Marco, un personaggio remoto e semi leggendario da un lato, un eroe pop contemporaneo dall’altro: uniti da che cosa?
Fasanotti non lo dichiara apertamente, lasciando i suoi lettori a dipanare la matassa. Ma potremmo arrischiare una risposta: la loro “romagnolità” non può consistere soltanto nella terra di nascita, ma in quel carattere passionale, intollerante delle sfumature e dei compromessi, ribelle e all’occorrenza anche violento, che da sempre li caratterizza. Può essere che proprio il “sangue romagnolo” – per citare un celebre racconto del libro Cuore – sia da ascrivere al fatto che l’espansione storica dei Celti abbia trovato in questa propaggine “tra il Po, il monte e la marina” il suo estremo confine meridionale? Parenti, insomma, i romagnoli, degli irlandesi tumultuosi e dal cuore ardente, come loro capaci di generare politici trascinatori, poeti sentimentali, pugili indomabili, donne capaci di essere fedeli fino in fondo alle loro storie passionali (come Edda Ciano, non a caso inclusa dall’autore nel gruppo dei ritratti). Chi vorrà leggere una dopo l’altra le storie di questi personaggi, credo debba prepararsi a meditare sui moventi segreti dei popoli – questo in particolare – e dei loro ricorsi nella storia.
di Dario Fertilio