Il saudita Trump: una svolta dadaista

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Le giravolte di Trump in politica estera (e interna) lo rendono sempre più incomprensibile e… dadaista

Quasi ogni giorno il mondo guarda con terrore ai continui e imprevedibili colpi di scena del presidente statunitense Donald Trump. Abbiamo assistito sbigottiti, nell’ordine, alla fine improvvisa del disgelo con la Russia e al bombardamento in Siria contro una base di Assad (lui che vantava in campagna elettorale di recuperare il tradizionale isolazionismo yankee: America first! E ricucire con l’amico Putin…), al braccio di ferro con la Corea del Nord che ci ha portato sull’orlo di una guerra nucleare (con repentino dietrofront: “Incontrerei volentieri il caro leader. Lo stimo”, ha dichiarato candidamente pochi giorni dopo l’ennesimo lancio missilistico di Pyongyang e lo schieramento di minacciose portaerei Usa nell’area), a un viaggio in Arabia Saudita dove ha benedetto gli sceicchi del petrolio che finanziano l’Isis con miliardi di forniture militari e ha bacchettato l’Iran che combatte l’Isis definendolo “Stato terrorista”. Come ciliegina sulla torta si è inginocchiato di fronte al suo nemico numero uno, Papa Francesco, che accigliato e a muso duro lo ha umiliato regalandogli una provocatoria medaglietta con l’Ulivo della pace e la sua enciclica ecologista. Donald si è detto “illuminato” dopo l’udienza, un “uomo trasformato”, “dedicato più che mai alla pace”, che ha “riflettuto molto sulle parole del pontefice”. Forse pensa così di farsi perdonare le intemperanze di un politico che ha avuto l’ardire di dire di voler difendere i confini, di “costruire muri”, invece di “ponti” umanitari, come quello sul Mediterraneo che va a finanziare le milizie islamiste libiche che gestiscono il traffico di essere umani e la mafia nostrana che organizza il business dell’accoglienza. Bergoglio è appunto il Pontefice, il costruttore di Ponti che come primo viaggio è andato a Lampedusa per gettare una corona d’alloro ai clandestini “migranti”, “martiri” che da anni stanno invadendo il nostro Paese con la complicità interessata di governo, ong e chiese. Il suo modello sociale terzomondista e pauperista è il Venezuela alla fame di Maduro o il bordello a cielo aperto di Cuba. Bergoglio vorrebbe fare del mondo un’enorme favela brasiliana dove i “ricchi”, malvagi seguaci del denaro “sterco del demonio”, vengono rapinati quotidianamente dalle gang di criminali delle sante periferie o da uno Stato che per pagare clandestini e corrotti impone una tassazione abnorme. Trump pensa che inchinandosi di fronte al profeta dell’impoverimento globale faccia contento i suoi elettori cattolici. Ma si sbaglia. I fedeli americani sono infuriati per il nuovo corso di Bergoglio, sempre pronto a colpevolizzare l’Occidente opulento e ad esaltare l’abbruttimento del terzo mondo. I cattolici statunitensi già sono pronti a tagliare le offerte milionarie che ogni anno piovono in Vaticano e che permettono alla numerosa corte dei miracoli papale di vivere nel lusso più sfrenato, tra vizi e stravizi, ben protetti dai muri invalicabili della Santa Sede, alti dieci volte di più di quello che il buon Donald vorrebbe costruire in Messico.
Che ne pensano i sostenitori di Trump “sovranisti” di casa nostra (Salvini, Santanché) o d’Oltralpe (Le Pen) di queste clamorose capovolte? L’imbarazzo regna sovrano. Noi pensiamo invece che il presidente americano ha inaugurato una nuova fase nella politica internazionale: quella dadaista, all’insegna dell’irrazionalità più sfrenata, trascinata da sentimenti del momento. Oggi Putin mi piace, domani lo odio. Oggi l’islam è il male assoluto, domani ballo la danza delle scimitarre con i i principi beduini di Allah. L’unica legge che vale è quella dell’assurdità e della contraddizione. Solo chi è capace di dire (e fare) tutto e il contrario di tutto può reggere le redini della più grande potenza del mondo, avrà pensato il vecchio Donald. Lo scherzo, lo sberleffo, la pacca nel sedere saranno le nuove regole del bon ton diplomatico. D’altronde, noi, con Berlusconi ne sappiamo qualcosa. Il re di Arcore è stato il maestro nell’inaugurare quello stile di cui Trump è solo un imitatore. Ricordate l’amicizia di Silvio con Gheddafi? Sotto le tende allestite a Roma appositamente per il leader libico e le sue amazzoni, il nostro ex premier ha assaporato per la prima volta le delizie del Bunga Bunga. Ma poi è arrivata la svolta, dettata da Sarkozy e Napolitano: giù bombe sulla Libia, al via l’invasione africana. Evviva! Tristan Tzara da lassù si farà delle grasse risate!

di Andrea Colombo

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Andrea Colombo
Andrea Colombo (Torino 1965) è un giornalista professionista e saggista specializzato in letteratura anglo americana. Ha scritto, fra l’altro, una controstoria del rock (“Sesso, droga & rock’n’roll”, “Fogli” n.219, 1995), una guida ai principali luoghi di spiritualità cattolici italiani (“Guarire l’anima. Itinerari dello spirito”, Leonardo Mondadori, 1998) e un saggio sui rapporti fra Ezra Pound e il cattolicesimo (“Il Dio di Ezra Pound”, Ares, 2011). Ha tradotto e curato diverse opere di Ezra Pound (fra cui i controversi “Radiodiscorsi” della seconda guerra mondiale, per Il Girasole 1999, nonché i pamphlet economici, “L’Abc dell’economia e altri scritti”, per Bollati Boringhieri 1996), G.K. Chesterton, R.H. Benson e C.S.Lewis. Collabora con le pagine culturali de “La Stampa”, con il mensile di “Avvenire”, “Luoghi dell’Infinito”, e con “Studi Cattolici”. Residente a Milano, ha vissuto in varie parti del mondo, fra cui New York, Sydney, Londra, Oslo e Helsinki. Appassionato di storia dell’arte antica e contemporanea, sta preparando una “controstoria dell’arte” e un saggio sul giovane Cioran. Si definisce “un liberista jeffersoniano con una spiccata predilezione per l’anarchia”.

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