Molti cattolici osservanti e alcuni altri si interrogano sulla portata del pontificato di Francesco. Apre un’era novella? Potrebbe alimentare un nuovo “Sessantotto” in saio francescano? Motivo in più per riflettere su quello, “in maglietta”, di mezzo secolo fa.
Come tutti i sommovimenti planetari, anche il Sessantotto ebbe radici, versioni, durata e ripercussioni diverse da Paese a Paese. Se negli USA la rivolta giovanile (mai rivoluzione, che è tutt’altra cosa) fu la risposta alla guerra del Vietnam, ai dubbi sui veri mandanti dell’assassinio di John Kennedy (un mito che ha retto all’accertata modestia della persona) e agli scandali politici, in molti paesi europei, come Francia e Belgio, il sessantottismo fu il contraccolpo della decolonizzazione.
In Italia il Sessantotto fu lo scossone impresso a un sistema istituzionale e politico-partitico esausto, svigorito, incapace di rinnovamento culturale-religioso dal proprio interno, col freno a mano sempre tirato (Paolo VI, Aldo Moro, Enrico Berlinguer…, i governi Andreotti) ma al tempo stesso corrivo a lasciar fare, lasciar passare. Era la ricaduta del Concilio Vaticano II della cui storia “scomoda” ha scritto Roberto De Mattei nel saggio che vinse il Premio Acqui Storia, con sorpresa dei veri credenti e scandalo degli anticlericali in servizio permanente effettivo. Dieci anni dopo, la spinta verso l’ammodernamento si impantanò fra attentati stragistici, trapassi naturali, la richiesta di Ugo La Malfa di introdurre la pena di morte contro i terroristi e con l’avvento del “grande centro” (dal PLI al PSI) dopo anni di contrapposizioni artificiose muro contro muro e di appelli al compromesso storico, cioè alla spartizione della torta.
All’immobilismo e all’inerzia pubblica di Governo e Parlamento i cittadini risposero col rifugio nel “privato”, che oggi, dopo altri decenni di inconcludenza, si esprime con la diserzione dalle urne. Questo è un sessantottismo capovolto, reso più “adulto” dalla delusione verso il sistema istituzionale, ma ancora indulgente verso movimenti, gruppi e/o il “poetare” in libertà. A presidenti e a ministri vari sempre sorridenti, come ci fosse ogni giorno chissà che cosa da festeggiare, va ricordato che un “sistema” votato dal 50% degli aventi diritto è più debole e pronto a sfarinarsi di quello vigente nell’Italia monarchica, quando alle urne andava il 60-70% dei cittadini, anche se analfabeti. Là c’erano Valori. Oggi predominano minuscoli valori… di borsa e giochini speculativi (dimentichiamo l’affaire delle Banche cooperative?).
Il Sessantotto espresse il sogno ingenuo che per migliorare il mondo, tutto e subito, bastasse scrollare l’albero. Nel tempo si constatò che le grandi promesse erano un elenco di problemi, una scommessa a tutt’oggi persa.
Infine, la matrice profonda del Sessantotto fu il superamento dell’“equilibrio del Terrore”, l’esorcizzazione della guerra nucleare incombente. Ma ora che la proliferazione della “Bomba” è una realtà scontata (ed è causa di maggior incubo, perché ne è meno possibile il controllo), ci si rassegna a un super-potere mondiale in cambio di un po’ di sicurezza quotidiana in più, della mera “durata in vita”. Perciò in un Paese a noleggio, qual è l’Italia, il Sessantotto è il trapassato remoto… Le prediche di Francesco faranno forse aprire il becco agli uccelli di altri continenti. Gli europei sono troppo vecchi e ormai di pasto leggero. Sono stanchi di storia, di sessantottismi, di magliette. Non sentono neppure bisogno di speciali assoluzioni, né, quindi di anni giubilari, di indossare il saio.
Aldo A. Mola