Il ballottaggio a Milano visto da centro-sinistra
Il ballottaggio a Milano fa nascere seri dubbi a un liberale: due candidati-sindaco fotocopia: ambedue con brillanti carriere nell’industria, general manager del Comune, con programmi abbastanza generici da essere sostanzialmente simili.
Perché allora scegliere Sala?
Perché in Parisi riappare uno scenario del passato: basta vedere la foto del lancio della campagna elettorale. Al suo fianco Salvini, Lupi, La Russa, De Corato, Gelmini; la stessa identica squadra della giunta Moratti che non ha sicuramente brillato per efficienza e trasparenza e che alla seconda candidatura è stata sonoramente bocciata dagli elettori milanesi: si rischia di ritrovarsi con gli stessi problemi di allora.
Un altro, più importante, motivo è la debolezza della posizione di Parisi; il risultato sorprendentemente negativo della sua lista civica lo ha lasciato in balia dei partiti.
Al di là delle belle dichiarazioni di indipendenza, al momento decisivo la designazione della squadra avverrà così come è sempre avvenuto in politica: si contano i voti e chi ne ha di più comanda, decide chi saranno gli assessori e quale sarà la linea politica della giunta. In questo caso toccherà alla Gelmini e a Salvini decidere.
In mano a Parisi solo due armi per evitare di essere la facciata liberale di ben altre forze: decidere e indicare prima i suoi assessori. Sarebbe stato questo un atto di indipendenza e di autonomia altamente meritorio e auspicabile: un modo anglosassone di gestire una campagna elettorale, ma evidentemente Parisi non ha voluto, oppure non ha potuto.
Extrema ratio sarebbe quella di minacciare le dimissioni (e quindi un nuovo ricorso alle urne) se non venissero accolte le sue richieste: ma questo è più un caso di scuola che una possibilità concreta: chi mai si suiciderebbe politicamente in questa maniera?
Soprattutto per questo motivo si dovrebbe votare Sala: per evitare il rischio di scegliere un programma liberale e ritrovarsi poi con programmi e assessori ben diversi.
Renato Cantagalli