È ormai acclarato che da questo virus ci libereremo solo con il vaccino (quando verrà); altrimenti ci si dovrà giocoforza convivere.
I risultati migliori nel contenimento sembra siano stati ottenuti da quei Paesi (Taiwan e Corea del Sud) che hanno provveduto a tracciare i movimenti dei propri cittadini, trovare i positivi al virus, rintracciare i loro contatti in modo da ridurre subito i potenziali focolai. Sembra l’unica via percorribile per uscire dal lockdown senza incorrere in una ripartenza dell’epidemia.
Ovviamente per fare ciò occorre un mezzo per verificare la situazione clinica e i contatti dei cittadini: la famosa app.
Anche in Italia ci si è avviati in questa direzione: la famosa app “Immuni”
Con lodevole rapidità si è scatenata tutta una battaglia ideologica sul diritto alla privacy, come se l’app non fosse su base volontaria e come se ognuno di noi non concedesse ogni giorno i propri dati ai vari gestori telefonici: alzi la mano chi non ha mai utilizzato Google Maps o che non ha dato mai il proprio consenso a qualche utilizzatore di dati…
Con altrettanta rapidità si è sviluppata un’altra polemica su quali fossero i veri proprietari della ditta che la doveva creare e sulle motivazioni (rimaste chissà perché segrete) di questa scelta.
Poi, al momento di partire, è calato il silenzio su tutta la questione: stiamo andando verso la riapertura senza avere un’app già funzionante e collaudata.
Ma, ci domandiamo sommessamente, visto che in altri Paesi (ad esempio l’Australia) queste app sono già in funzione, non era forse meglio utilizzare qualcosa di già testato ed esistente piuttosto che cominciare ex novo?
E comunque non era forse meglio mettere in concorrenza almeno un paio di app per avere una possibilità di scelta tra più prototipi funzionanti piuttosto che affidarsi a un’unica opzione tra l’altro ancora teorica?
In un momento in cui si prevedono impegni per miliardi di euro, una spesa di qualche milione (o molto meno!) per avere la sicurezza del funzionamento dell’app sarebbe stata più che accettabile.
Oppure rischiamo di aprire tutto alla cieca (senza app e senza riserva di tamponi con cui fare i controlli), affidandoci al famoso “stellone italico”?
di Angelo Gazzaniga