Il recente caso Santanché, al netto di ogni considerazione politica o giuridica, mostra con evidenza come esistano imprenditori “positivi” e imprenditori “negativi”.
I primi si impegnano a conquistare fette di mercato attraverso una libera concorrenza, pagano le tasse (si, anche quello…), sviluppano le proprie aziende facendo anche un’opera sociale perché offrono ai loro dipendenti/collaboratori la possibilità di guadagnare e di realizzare le proprie aspirazioni.
Gli altri continuano ad aprire e chiudere aziende semplicemente per evadere, vivono di sussidi e contributi che si guardano bene dal restituire, licenziano i dipendenti senza pagare loro il tfr (che sono soldi dei dipendenti depositati presso l’azienda): sono semplicemente dei parassiti che sfruttano la società.
Quali rimedi? semplificazione di leggi e regolamenti, controlli non solo formali ma soprattutto di sostanza, velocizzazione delle procedure (quello che da sempre suggerisce Libertates).
Non certo, ad esempio, come il decreto che è stato recentemente promulgato e che vieta all’Agenzia delle Entrate di fare istanza di fallimento per ditte che non hanno pagato le tasse se questo può portare a riduzioni di personale. È un provvedimento solo apparentemente sociale e di difesa degli interessi dei lavoratori perché se una ditta non paga perché in stato prefallimentare servirà solo a prolungarne l’agonia e l’inevitabile distorsione del mercato, mentre per un imprenditore “negativo” è solo un favore ai suoi interessi e ai suoi illeciti guadagni.
di Angelo Gazzaniga