E’ espressione della democrazia diretta il referendum federale contro le “retribuzioni abusive”, vinto dal 67% dei votanti. Che, a loro volta, rappresentavano il 46% dell’elettorato elvetico.
E’ espressione della democrazia diretta anche il risultato del referendum, che ha introdotto una riforma nel diritto societario. D’ora in avanti, in tutte le società anonime quotate in borsa, sarà l’assemblea generale degli azionisti che dovrà votare per stabilire gli stipendi dei manager, eleggere annualmente il presidente del consiglio di amministrazione, i singoli membri del consiglio di amministrazione e del comitato di retribuzione (Compensation Committee) e il rappresentante indipendente degli aventi diritto di voto. Le casse pensioni, d’ora in poi, dovranno votare esclusivamente nell’interesse dei loro assicurati e rendere pubblico il loro voto. In Italia è passato un altro messaggio, ampiamente errato. Si è detto, infatti, che il referendum abbia introdotto un “tetto” sugli stipendi dei manager delle società. Non è vero. Il referendum, al punto “b”, ha eliminato i bonus dei manager: sono abolite, d’ora in avanti, liquidazioni, altre indennità, retribuzioni anticipate, premi per acquisizioni e vendite di ditte e contratti supplementari di consulenza o di lavoro da parte di società del gruppo. Ma l’ammontare dello stipendio sarà liberamente deciso dall’assemblea generale degli azionisti, democraticamente. Se per attrarre un grande manager verrà deciso, a maggioranza, di dargli ogni mese un salario pari a 20 volte quello dell’ultimo impiegato della stessa azienda, gli azionisti saranno sempre liberi di deciderlo. Il referendum è stato promosso nel 2008, e giunto alle urne dopo un lungo e burrascoso iter, proprio per tutelare la proprietà privata e la libertà di decisione degli azionisti. Non per redistribuire la ricchezza dei grandi manager come si dice dalle nostre parti.
Se è (come è) una vittoria della democrazia diretta, questo referendum è anche una vittoria altrettanto importante per la libertà? Libertà e democrazia non sono lo stesso concetto. In molti casi sono incompatibili. Questo è proprio uno di questi casi. Le aziende svizzere, d’ora in avanti, saranno meno libere di organizzarsi, come credono, al loro interno. In un primo momento, il Consiglio Federale aveva inizialmente bocciato questa iniziativa referendaria, proprio perché avrebbe intaccato la natura liberale del diritto societario elvetico. Il referendum limita il margine di manovra delle imprese quotate in borsa. I consigli di amministrazione verranno eletti ogni anno e c’è da temere che si occupino più del loro rinnovo che non della gestione dell’azienda. Si impone alle casse pensioni, di votare esclusivamente per gli interessi dei loro assicurati. Quali? E se gli interessi sono divergenti, chi si privilegia? Insomma, il risultato è molto discutibile. Di sicuro gli svizzeri saranno più democratici. Ma meno liberi di prima.
Stefano Magni
Le società quotate proprio perché quotate è giusto che abbiano una governance più attenta e stringente. Non è una questione di libertà. Un’azienda ha precise responsabilità nei confronti di chi opera nel mercato azionario e non può quindi organizzarsi liberamente senza dar conto agli investitori. Anche la normativa di common law è chiara in tal senso.
Non si possono avere completamente le mani libere con i soldi degli altri!
Concordo!