Intervista di Dario Fertilio a Italia Oggi: Intervista di Dario Fertilio a Italia Oggi

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Domanda. Fertilio, c’è una crisi economica che è anche politica in questo Paese. Gli Italiani guardano ai palazzi della politica con più rassegnazione che rabbia. Lei che cosa vede?

Risposta. Vedo qualcosa che arriva dal lontano. Questo spirito depressivo e anche questa rassegnazione di fronte al declino sono presenti da anni nella nostra società. Anzi direi che occorre risalire agli anni ‘70

D. Addirittura, così lontano?

R. Il punto di svolta furono le baby pensioni, ricorda?

D. Come no?  Uno stuolo di trentenni-quarantenni a riposo, con la prospettiva di mezzo secolo e passa di contributo statale

R. Esatto. E fu il sindacato che cominciò a dire che si poteva andare in pensione a 40 anni. Fu l’inizio del declino perché si accantonava la necessità di confrontarsi col mercato, con la concorrenza, e anche l’amore al lavoro. Ma è un declino complesso.

D. In che senso?

R. Nel senso che questo spirito di rassegnazione si salda alla volontà di non mettersi in gioco, ai nostri mali storici, come la nostra allergia al libero mercato da un lato, e l’arretratezza e la confusione istituzionale dall’altro. Invece…

D. Invece?

R. Invece di trovare una vera divisione di poteri, in luogo del caos che regna sovrano

D. Parliamo allora di quello che si potrebbe fare…

R. Si tratta di parlare delle  grandi riforme mancate. Innanzitutto quella elettorale: una legge che fosse necessariamente maggioritaria, premiasse l’individualità candidati, un uninominale secco, all’inglese o all’americana, in collegi piccoli, che consentisse alla fine di dar loro un giudizio sugli eletti, quella che si chiama accountability. Avevamo una legge parzialmente maggioritaria e il suo miglioramento, con la fine della quota proporzionale, fu bloccato da un referendum sospetto (quello a cui mancò il quorum nel 1993, ndr).

D. Che cosa comporta, una legge elettorale sbagliata?

R. Che manca un metodo selezione della classe politica, di rappresentanti cioè che non siano balia del potere dei partiti. Ma non basta. Occorre anche una riforma istituzionale in senso presidenzialista, con un’elezione diretta del capo dello Stato almeno per due motivi: far sì che sia una personalità riconosciuta, in grado di rappresentare il Paese anche in campo economico e che, essendo eletta dal popolo, divida efficacemente, nel senso che diceva Montesquieu, il potere esecutivo da quello legislativo. Significherebbe cioè un parlamento liberato dalle ipoteche del governo, libero di votare su singoli provvedimenti, come è succede negli Stati Uniti, anche su decisioni importanti, senza lo spauracchio del voto di fiducia. Non sarebbe male, a questo proposito, che ministri e sottosegretari non fossero parlamentari.

D. E poi c’è il potere giudiziario…

R. Che è una bomba vera e propria: perché da noi la magistratura è fuori controllo, ha un suo partito, a cui non tutti i magistrati aderiscono, intendiamoci, ma si tratta di un partito in grado di rappresentare in maniera politica e corporativa alcuni precisi interessi fuori da ogni regola.

D. Intende anche lei le famose “toghe rosse” di cui parla B.?

R. Non necessariamente. Anzi i membri del partito della magistratura andrebbero d’accordo persino con B., credo, solo se lasciasse campo libero ai loro interessi.

D. E qui c’è molto da fare, immagino.

R: Certo, ci vorrebbero poteri disciplinari credibili, non ciò che oggi si può vedere al Consiglio superiore della magistratura, e ci sarebbe da introdurre la responsabilità civile di chi giudica.

D. Ha firmato i referendum radicali, allora?

R. Non ho avuto l’opportunità, finora, anche se avrei firmato, glielo dico, solo quelli sulla giustizia.

D. Torniamo a Montesquieu, per davvero, insomma.

R. Soprattutto a una definizione dei tre poteri che inveri l’articolo 1 della nostra Costituzione laddove si dice che la sovranità appartiene popolo. Ma c’è un altro aspetto che mi sta a cuore…

D. Prego…

R. La cosiddetta democrazia diretta che sarebbe una risposta importantissima alla crisi politica e di partecipazione che viviamo. Si dovrebbero cioè rendere obbligatorie le primarie, condizione indispensabile per ricevere qualsiasi tipo di finanziamento o rimborso, e abolire il quorum nei referendum, estendendo quelli abrogativi: il fatto che chi non voti possa decidere alcunché è davvero intollerabile. E poi vorrei uno statuto dell’opposizione, con un governo ombra dotato di  prerogative d’aula. Così la minoranza potrebbe davvero essere il watch-dog, il cane da guardia, della maggioranza..

D. Però, Fertilio, da anni parliamo di regole da cambiare, sempre con vasti consensi. Poi, però, non le cambiamo mai. C’è dell’altro?

R. Indubbiamente c’è una resistenza istintiva al cambiamento dalle strutture di potere. A tutti livelli, soprattutto a livello burocratico e c’è la rendita di posizione che ha un suo potere ostativo. C’è arretratezza culturale, non si può negare, sia politica sia nel senso della moralità.

D. Come rimediare?

R. Credo che sia fondamentale il ruolo dei media che non devono aver paura  d’esser spazzati via dalla crisi tecnologica.

D. In che senso?

R. Nel senso che stiamo diffondendo un conformismo tecnologico, che agisce sui cittadini. Se lei va in metro vedrà che tre passeggeri su quattro sono impegnati a guardare, con area drogata, il loro telefonino. I media, a partire da quelli tradizionali, quelli cartacei, per paura di restare fuori da questo fenomeno tendono a rinunciare alla loro funzione critica.

D. Dunque del popolo della rete, espressione orribile ammettiamolo e spesso scorretta,  lei non ha una grande stima?

R. Non ne ho nessuna opinione perché è un’entità magmatica che si esprime attraverso una democrazia diretta, direi abbastanza falsa e generica. La democrazia diretta, quella vera, implica responsabilità, il metterci la faccia. Non basta un click.

D. Il conformismo delle time line di Twitter o di Facebook?

R. Certo, che procede di pari passo alle tecnologie, che schiaccia, che livella, che non informa e non consente un’analisi critica. Per questo lo definisco cominformismo.

D. Da Cominform, il plenum del comunismo internazionale?

R. Esatto, perché tende a essere onnipresente, intollerante, totalizzante.

D. Per esempio?

R. Mi riferisco al femminicidio: possibile che l’uccisione di una donna sia più grave di un omicidio in se? E che dire dell’insistenza totalitaria sui gay, sul femminismo o le teorie di genere in generale? Che dire dell’ecologismo e del razzismo, per tacere della famiglia e del suo valore, attaccata duramente? Stiamo mettendo in discussione il principio della libertà di opinione.

D. Il cominformismo è illiberale per definizione, quindi…

R. Non ha rispetto per passato, tradizioni, deve fare tabula rasa, è un po’ Rivoluzione francese. Un giacobinismo tecnologico..

D. Se viene dal Cominform, anche un po’ di comunismo…

R. L’eredità di quell’ideologia è l’idea di controllo. Da quel ceppo, come sappiamo, sono usciti il bolscevismo e la socialdemocrazia ma quell’anima totalitaria, la tendenza al controllo, si può vedere anche nella gestione del welfare. E’ un pensiero auto suggellante.

D. Solo italiano?

R. Anche europeo, direi. Infatti i sistemi politici della Vecchia Europa, salvo la Gran Bretagna, si assomigliano, molto all’Italia: sono ingessati e tendono fatalmente alle grandi coalizioni.

D. Una nuova ideologia, insomma, con strumenti forti.

R. Marx sosteneva che l’ideologia fosse la falsa coscienza della classe al potere, il cominformismo idem, deve conservare il potere che ha conquistato ma ha vita definita. Non so quando, ma cadrà.

 

Goffredo Pistelli

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Dario Fertilio
Dario Fertilio (1949) discende da una famiglia di origine dalmata e vive a Milano. Giornalista e scrittore, presiede l'associazione Libertates che afferma i valori della democrazia liberale e i diritti umani. Estraneo a ogni forma di consorteria intellettuale e di pensiero politicamente corretto, sperimenta diverse forme espressive alternando articoli su vari giornali, narrativa e saggistica. Tra i suoi libri più noti, la raccolta di racconti "La morte rossa", il saggio "Le notizie del diavolo" e il romanzo storico "L'ultima notte dei Fratelli Cervi", vincitore del Premio Acqui Storia 2013. Predilige i temi della ribellione al potere ingiusto, della libertà di amare e comunicare, e il rapporto con il sacro.

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