Iran, l’epicentro del conflitto mediorientale

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Credete di poter risolvere tutti i problemi del Medio Oriente riconoscendo lo Stato della Palestina? In molti ne sono convinti, in buona o mala fede. Ma, evidentemente, hanno dimenticato l’Iran. In questi mesi si parla poco della Repubblica Islamica. Però c’è sempre e mira ancora alla distruzione dello Stato di Israele. E intanto, nel segreto delle sue montagne, continua a lavorare sull’arma totale, quella nucleare, che spariglierebbe completamente le carte in tavola.

Questa settimana sono emersi dettagli di un’inquietante guerra di spie attorno al programma atomico di Teheran. Dalla fine di novembre, infatti, gli iraniani stanno estraendo carburante dalla centrale nucleare di Bushehr. Si tratterebbe di “normale manutenzione”, secondo quanto riferisce Asghar Soltanieh, inviato iraniano all’Aiea. Ma l’Agenzia per l’energia atomica e le diplomazie occidentali sono in allarme, perché estrarre carburante da una centrale può voler dire anche altro: ricavare plutonio con cui costruire testate nucleari. Il sospetto è forte, soprattutto considerando che l’ultimo rapporto dell’Aiea, pubblicato il 16 novembre scorso, elenca tanti altri aspetti oscuri del programma nucleare iraniano. Non solo registra le manovre attorno al reattore di Bushehr, ma anche il completamento dell’impianto di Fordo, segreto e sotterraneo, tecnicamente in grado di produrre grandi quantitativi di uranio arricchito, altro materiale fissile utile per la costruzione di testate nucleari. Gli americani vogliono vedere da vicino quel che gli iraniani stanno producendo, ma non sempre va bene. È di martedì la notizia della “cattura” di un drone da ricognizione americano da parte della Guardia Rivoluzionaria di Teheran. L’apparecchio risulterebbe essere un piccolo ScanEagle della marina statunitense, probabilmente lanciato da una delle navi che incrociano nel Golfo Persico. I militari d’élite del regime islamico hanno mostrato la loro preda in un hangar. Alle loro spalle, lo striscione “Calpesteremo l’America”. Se confermata, si tratterebbe della seconda cattura di droni americani. Esattamente un anno fa era toccato a un Rq-170 Sentinel, molto più sofisticato e stealth (invisibile ai radar), precipitato per un guasto interno (secondo la versione americana) o per un’intercettazione elettronica del suo sistema di navigazione (secondo la versione iraniana). Il 1 novembre scorso, l’aviazione di Teheran aveva sparato contro un Predator, nel Golfo Persico, al largo di Bushehr, ma non era riuscita ad abbatterlo.

Parallelamente al programma atomico, l’Iran ha appena incassato una dura sconfitta diplomatica. È stata rimandata la conferenza internazionale a Helsinki per sul Trattato di Non Proliferazione. Si proponeva l’ambizioso obiettivo di un Medio Oriente privo di armi di distruzione di massa. Considerando che l’unico Paese che potrebbe possedere armi nucleari, attualmente, è Israele, la conferenza avrebbe mirato, prima di tutto, al disarmo dello Stato ebraico. Come vorrebbe l’Iran. Gli Usa hanno fatto pressioni per rinviare la conferenza e Ban Ki-moon l’ha sospesa, nonostante le vive proteste di Teheran. Ma, anche qui, il regime islamico si è vendicato (o è stato vendicato da terzi) con i metodi dello spionaggio informatico: il 28 novembre, un gruppo di hacker, chiamato “Parastoo”, ha rubato dati dai server dell’Aiea, pubblicando contatti personali di collaboratori dell’Agenzia e un comunicato politico per spiegare le ragioni del furto informatico: in vista del nuovo round di colloqui sul nucleare tra l’Aiea e l’Iran, previsti a Teheran il mese prossimo, “Parastoo” chiede che i dirigenti dell’organismo delle Nazioni Unite cambino destinazione e vadano in Israele.

Anche senza avere l’atomica, nelle settimane scorse Teheran ha indirettamente partecipato al conflitto mediorientale. Durante lo scontro armato a Gaza, tutti i razzi a lunga gittata lanciati da Hamas e arrivati sino a Tel Aviv e Gerusalemme erano dei Fajr-5 “made in Iran”. Il regime iraniano, non solo non ha negato di aver armato e aiutato Hamas, ma se ne è vantato pubblicamente. Come è possibile pensare ancora che, riconoscendo l’Autorità Palestinese, finisca il conflitto? Come è possibile crederci, se sappiamo benissimo che Hamas, sostenuto dall’Iran, è sicuro di poter continuare la guerra e magari anche di vincerla, quando il potente alleato diverrà una potenza nucleare? È veramente ingenuo credere che il conflitto per la Palestina si possa risolvere in loco, discutendo sulla definizione dei confini, sulle aree in cui si possono o non possono costruire case, o sulla distribuzione degli aiuti umanitari pagati con le tasse dei contribuenti europei. Il nodo della questione è ideologico, non territoriale. L’ideologia fondamentalista islamica vuole la distruzione dello Stato ebraico. E il suo epicentro, attualmente, da un po’ di decenni a questa parte, è in Iran. I liberali hanno sempre saputo e creduto che, durante la Guerra Fredda, il terrorismo rosso in Europa e le guerriglie “di liberazione nazionale” nel Terzo Mondo fossero prodotti dalle menti del Cremlino. Allora era quello “l’epicentro del male nel mondo”, come l’aveva definito Ronald Reagan nel suo storico discorso del 1983. Oggi, almeno per il Medio Oriente, l’epicentro del male è nel regime di Teheran. E’ quello il problema da affrontare, più ancora che la Palestina. Con una guerra? Ma nemmeno per idea. Reagan non combatté mai una guerra contro l’Unione Sovietica. Gli bastò tenerla a bada e non voltare lo sguardo dall’altra parte quando qualcuno chiedeva aiuto all’America contro il regime sovietico. Un regime totalitario è pericoloso e mortale per i suoi cittadini, più ancora che per i suoi vicini. Basta togliergli la legittimità e ogni forma di cooperazione per farlo collassare sulle sue stesse gambe. Con l’Iran, una politica simile sarebbe ancora più semplice. Una rivoluzione contro il regime degli ayatollah c’è già stata e noi l’abbiamo ignorata. E’ la volontà delle democrazie occidentali che manca.

Stefano Magni

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