Istruzione pubblica: potere alla creatività individuale

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Annamaria Testa nel suo blog su Internazionale ci ricorda un aneddoto storico risalente al 1957, quando l’Unione Sovietica lanciò in orbita il primo Sputnik, creando sconcerto nella popolazione americana: i Russi erano arrivati per primi. Il sapore della sconfitta ed il desiderio di rivalsa spinsero gli americani a mettersi in discussione, partendo dalla base. Con grande pragmatismo giudicarono il loro sistema educativo “poco efficace ed orientato a premiare il pensiero conformista” e, individuato il problema, presero ad investire grosse somme di denaro per dare nuovo slancio all’istruzione. Infatti, la scuola non è un luogo dove semplicemente si imparano delle nozioni, ma deve essere una fucina di talenti in grado di raccogliere le sfide del futuro, sfruttando un bagaglio di conoscenze che arrivano dal passato. Quanto al come, ce lo spiega Henri Poincaré (citato ancora da Testa), secondo il quale la creatività consiste nell’inventare “combinazioni armoniose”, cioè “belle ed utili”, a partire da elementi già noti.

Sulla scia di queste considerazioni possiamo affermare che quando una nazione non è più competitiva, vuol dire che cominciano a scarseggiare idee “belle ed utili”. Per far fronte a questa carenza, si potrebbe potenziare il sistema educativo, come fecero gli americani dopo la batosta dello Sputnik, in modo che le nuove leve abbiano a disposizione gli strumenti per mettere a tacere quei venditori di fumo che oggi si spacciano per creativi. Ma l’Italia è un Penisola a statuto speciale, o meglio, un’isola del sistema. Tutto funziona in modo diverso e, messa così, la cosa non sarebbe neanche male in termini di creatività. Il fatto è che il proliferare di “idee belle ed utili” al più viene convogliato nella poco nobile arte della truffa. Accade così che il sistema di istruzione e formazione premia caratteristiche come la furberia, l’approssimazione, l’albero genealogico, ma non il merito. Sradicare simili consuetudini dal nostro sistema educativo è possibile, attraverso una lucida analisi degli errori commessi fino a questo momento. Il nostro, per esempio, è un Paese pieno zeppo di laureati: questa presenza massiccia significa istruzione democratica o appiattimento? Pensiamoci, dal momento che non tutti vorrebbero proseguire gli studi, però molti si sentono obbligati a farlo, forse perché le scuole professionali non sono in grado di avviare al mondo del lavoro gli allievi che le frequentano. L’università, poi, non è da meno. Ti imbottiscono di teoria e poi ti lasciano andare per la tua strada, forte della convinzione di saper fare una torta per il semplice fatto di conoscerne gli ingredienti a menadito.
Non è così che si generano competenze reali in grado di fare la differenza. Lo sviluppo di una civiltà si fonda su sistema educativo valido e, per questo, i Comitati rilanciano il tema dell’istruzione avanzando alcune proposte:

  • Selezione, che significa motivare gli studenti a dare il meglio di sé;
  • Incentivi economici per i più meritevoli e per gli studenti lavoratori (lavorare e studiare è un’impresa ardua, che va premiata);
  • Aggiornamento professionale per gli insegnanti;
  • Innovazione tecnologica;
  • Filo diretto tra scuola, ricerca scientifica ed aziende.

Partendo dal presupposto che la partecipazione dei cittadini sia fondamentale in una società democratica, i lettori che vorranno avanzare altre proposte per migliorare il sistema educativo italiano sono invitati ad inviarci il loro contributo. Anche noi, come gli americani all’epoca dello Sputnik, quando ci sentiamo feriti nell’orgoglio, siamo incentivati a dare il massimo. Proviamoci, partendo da un atteggiamento propositivo, che stimoli la nostra creatività ad andare oltre la sterile critica di un sistema che non ci piace.

Anna Rita Chitera

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