La Spagna, l’altro grande malato dell’Europa, sta ormai uscendo dalla crisi: per la prima volta il Pil trimestrale mostra un segno più dopo nove trimestri di segno negativo. E’ la certificazione della ripresa.
In Italia invece l’aumento del Pil è rimasto nelle mondo delle speranze e delle dichiarazioni dei politici.
Per un confronto tra i due Paesi bastano alcuni dati:
- negli ultimi quattro anni gli investimenti stranieri sono stati di 107 miliardi in Spagna e 70 in Italia
- nell’ultimo anno a fronte di 28 miliardi di euro investiti da stranieri in Spagna ci sono i 9 arrivati in Italia
- la produzione automobilistica in Spagna nei primi sei mesi del 2013 è stata di 1.100.000 auto contro le 360.000 dell’Italia (stesso livello del 1958!)
- nel 2012 l’export è spagnolo è aumentato del 3,6%, quello italiano è diminuito del 4,4% (e ancora peggiori sono i dati relativi all’export extra UE, quello più redditizio)
Perché tutto questo?
In Spagna il governo Rajoy è in carica dal 2011 e vi rimarrà senza problemi sino al 2015: questo significa la possibilità di introdurre misure di austerity e soprattutto tagli delle spese senza grossi problemi: basti considerare il costo del lavoro (tra l’altro in Spagna non esiste l’art 18) che in questi ultimi anni è passato per unità di prodotto da 142 a 132 (fatto base 100 nel 2000).
In Italia non si riesce a sostituire una legge elettorale (definita dal suo stesso autore “una porcata”) che definire assurda e fallimentare è poco;
dei tre partiti maggiori: uno pensa a come salvare Berlusconi, l’altro a come finirà il congresso, il terzo non pensa proprio…
la magistratura è oltre il 150° posto al mondo come inefficienza…
Solo una decisa svolta verso una democrazia diretta, un federalismo fiscale, una legge elettorale che permetta ai cittadini di scegliere, votare e giudicare i propri rappresentanti (come da sempre chiedono i Comitati) potrà modificare questi numeri che, per ora, suonano come condanna inesorabile e incontrovertibile della nostra classe politica
Angelo Gazzaniga