Il mondo del lavoro e delle professioni è cambiato eppure le controversie di tipo economico fra “datori
di lavoro” e “lavoratori dipendenti” intasano ancora i tribunali. Così come vi sono professionisti che richiedono compensi non precedentemente concordati. La Giustizia ha una varietà di sentenze che, spesso, nulla hanno a che vedere con la fissazione di un compenso basato sulla concorrenza e sul
libero mercato, così come sottoscritto dagli italiani in numerosi trattati europei ed internazionali.
La Costituzione italiana stabilisce solo, all’art. 36, che: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè‚ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa…”
Quindi, in caso di controversia la Giustizia dovrebbe, innanzitutto, pretendere che vi sia un accordo scritto sui termini della compravendita del servizio o del rapporto di lavoro e, in assenza di un accordo formalizzato, non può far altro che valutare che il compenso rispetti l’art. 36, con riferimenti economici ai principali Contratti Collettivi di Lavoro ed ai compensi definiti in relazione all’art. 38 della Costituzione.
Riferimenti a tariffari di ordini o loro valutazione di parcelle o altri tipi di valutazione, non sono altro che la negazione di un libero mercato e l’avvallo di “cartelli” o monopoli proibiti dalle leggi vigenti. Non si vede perché un normale notaio, che autentica solo firme, di cui il mercato abbonda, debba guadagnare per legge più di un infermiere, professione assai richiesta con poca offerta sul mercato. Né più né meno del prezzo di un prodotto industriale, che altro non è che il compenso di quanti partecipano alla sua produzione.