“Le idee hanno conseguenze”
Friedrich Hayek
“Io sono particolarmente diffidente nei riguardi del concetto di equilibrio. Sottintende uno stato di
cose desiderabile, una meta finale dove riposarsi, perché nulla può esservi migliorato.
I fondamentalisti del mercato asseriscono che i mercati tendono all’equilibrio, e che qualsiasi
interferenza da parte della politica è nociva. Si è visto che in molti casi non è determinabile un
unico punto di equilibrio. John Maynard Keynes ha dimostrato che l’economia può raggiungere
un equilibrio senza piena occupazione…”
George Soros, La Società Aperta “2. CRITICA DELL’ECONOMIA”
Esiste un virus più pericoloso del Covid 19: è l’ideologia, espressione in quanto tale della “società chiusa” (vedi George Soros).
L’errore più grave commesso da Lord John Maynard Keynes e che tra l’altro gli costò la vita, è stato quello di tendere all’ideologizzazione del deficit spending, nell’ambito del costruttivismo della Great Society che rifonda l’Individuo; ma se l’individuo è subordinato alla Grande Società, l’autos nomos tanto caro ad Adam Smith va a farsi friggere. Il suo è un esempio di paralogismo. Ma che cosa sono i paralogismi? E’ stato quel furbone di Immanuel Kant a spiegarne il significato, per riprogettare autoritativamente la realtà – la quale, invece, esiste “ed è unica per importanza” (George Soros ne “The opening society”) e si ribella alla violenza dell’entità astratta: “… Sono ragionamenti, privi di qualsiasi premessa empirica, mediante i quali, muovendo da qualcosa che conosciamo, giungiamo a qualcos’altro, di cui non abbiamo un concetto e a cui tuttavia attribuiamo realtà oggettiva per effetto di un’inevitabile parvenza. Inferenze di questo genere raffrontate al loro risultato, debbono quindi esser detti raziocinanti anziché razionali; tuttavia esse possono portare anche questo nome, se si pon mente alla loro origine che non è fittizia o casuale ma ha radice nella natura della ragione. Si tratta di sofisticazioni dovute non già all’uomo, ma alla ragion pura stessa, di cui neppure il più accorto degli uomini è in grado di liberarsi; potrà magari, con grande sforzo, prevenire l’errore, ma non gli sarà possibile liberarsi una volta per sempre dalla parvenza che senza posa lo insidia e si prende gioco di lui”.
Tradotto: il fanatico dell’Illuminismo Immanuel Kant legittimava “l’errore intenzionale nell’argomentazione” che – nella sua delinquenzialità al servizio del Potere – è stato all’origine del bagno di sangue del giacobinismo nella Rivoluzione Francese alla voce Ghigliottina, e della bocciatura ideologica della “Nep” in Russia – proprio quando essa aveva avuto successo! – con miseria, povertà e dittatura, da parte del satrapo della Rivoluzione d’Ottobre Nicolay Vladimir Lenin (sono stati eccezionali i contributi sull’argomento dati da Enzo Bettiza, Dario Fertilio e l’accademico francese Hélène Carrére d’Encausse).
Orbene, nel libro pericoloso di Warren Mosler “Keynes – L’assurdità dei sacrifici – elogio della spesa pubblica”, con Introduzione di Warren Mosler – cofondatore della teoria economica neo-chartalista, Modern Money Theory –, viene integralmente riprodotta l’intervista radiofonica di Sir Josiah Stamp, direttore della Banca d’Inghilterra, a John Maynard Keynes trasmessa dalla Bbc il 4 gennaio del 1933 (Note al testo a cura di Paola Ghini).
La pubblico solo nei suoi passaggi fondamentali, con l’interpretazione ideologica di Warren Mosler provocata dallo stesso Keynes: in essa l’economista britannico – alle prese con la Grande Crisi del 1929 – riportava come vero ciò che in realtà è un falso assunto, purtroppo molto diffuso ancora oggi e soprattutto in Italia: lo Stato non può andare in bancarotta, e può spendere all’infinito quello che vuole:
“L’Assurdità dei Sacrifici – Primo passaggio Effetto domino dei tagli alla spesa pubblica
In questo primo passaggio dell’intervista, Keynes introduce l’assunto che la decurtazione delle possibilità di spesa su singole persone e quindi tanto più su intere categorie e voci di spesa, ha una ricaduta su tutta la società, con riduzione a catena dell’occupazione e del reddito generale.)
Stamp: Molto tempo è trascorso, Keynes, da quando abbiamo potuto scambiare due chiacchiere in confidenza e sono passati anche molti giorni da quando ero io a insegnarti qualcosa. In questi giorni (in piena crisi dopo il ’29, n.d.c.), continuamente leggiamo sui giornali di dibattiti sullo spendere e sul risparmiare e credo che noi stessi ne rimaniamo disorientati.
Quali sono le conclusioni a cui il pubblico è giunto, in merito? Pensi che tutte queste discussioni abbiano chiarito le questioni, avendo fatto emergere specifici punti o tutto è ancora confuso quanto all’inizio?
Keynes: Ho l’impressione che lo stato d’animo della popolazione stia cambiando. Un anno fa, circa, c’era molto panico. Pare tuttavia che ora ci si stia rendendo conto, in modo piuttosto diffuso, che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo, non trovi? Questa, in ogni caso, mi sembra che sia quella verità fondamentale che non dobbiamo mai dimenticare. Ogni volta che qualcuno decurta la spesa, sia costui un singolo individuo, o un Consiglio Comunale o un Ministero, il mattino seguente qualcun altro sicuramente vedrà il suo reddito decurtato. La storia tuttavia non finirà lì, poiché, a sua volta, chi si sveglia scoprendo che il suo reddito è stato decurtato o di essere stato licenziato a causa di quel dato risparmio, costui sarà costretto a sua volta a diminuire la spesa, volente o dolente.
Stamp. Ciò significa che egli, a sua volta, taglierà il reddito di un secondo uomo e che qualcun altro ancora resterà senza lavoro.
K. Sì, questo è il problema. Una volta che la situazione precipita, diventa estremamente difficile invertire la rotta.
Secondo passaggio
Un assunto scorretto: lo Stato davvero virtuoso spende il meno possibile.
“S. Ti fermo per un momento. Prendiamo in considerazione il risparmio di un Ministero o di un privato individuo e consideriamone l’effetto.
Uno stato o una città, proprio come un individuo, devono vivere nei limiti delle loro risorse finanziarie, mentre, se provassero ad andare oltre questo limite, si troverebbero in notevoli difficoltà e molto presto sarebbero costretti a ridurre il loro patrimonio.
K. Ci può essere un solo obiettivo nel risparmiare: esso è precisamente quello di sostituire una certa spesa con un tipo diverso di spesa più saggia.
S. Sostituire! Capisco qual è il punto! Se, per esempio, il Governo o gli enti locali risparmiassero per ridurre le tasse o i tassi di interesse e consentissero ai singoli di spendere di più, oppure, se gli individui riducessero i consumi, per poi usare essi stessi il denaro risparmiato nella costruzione di case o di fabbriche, o per prestarlo ad altri individui aventi gli stessi obiettivi, non servirebbe tutto ciò a risolvere le cose?
K. Ma, caro Stamp, è davvero questo che sta succedendo? Io sospetto che le autorità spesso risparmino senza poi ridurre i tassi di interesse o le imposte e senza trasferire agli individui il potere di acquisto così aumentato. D’altra parte, anche la singola persona, quando riceve un potere di acquisto aggiuntivo, di solito lo utilizza per la propria sicurezza oppure, quanto meno, pensa che sia virtuoso risparmiare anziché spendere. Tuttavia, non sono questi i tipi di risparmi, tesi a far abbassare i saggi di interesse e le tasse, che critico. Piuttosto mi concentro su quelle forme di risparmio che comportano un taglio della spesa, ovvero su quei casi in cui essa dovrebbe essere naturalmente coperta tramite debito: in questi casi, il fatto che il generico contribuente avrà di più, non genera nessun vantaggio diretto per l’individuo che subisce il taglio che lo possa compensare della perdita di reddito.”
Traduce Warren Mosler, drogato di ideologia fino alla cima dei capelli come lo era Nino Galloni, in qualità di braccio destro dell’allora Ministro del Bilancio Paolo Cirino Pomicino nel famigerato CIPE: Comitato tecnico-scientifico per la Programmazione, con il vizio del “Gosplan” (dove Andreotti fece licenziare l’economista Paolo Sylos Labini perché costui si era opposto a Salvo Lima):
“In questo terzo passaggio, come in altri, Keynes affronta la questione della spesa pubblica, affermandone la positività. Così facendo, controbatte a Stamp, il quale nell’intervista riporta come vero ciò che in realtà è un falso assunto, purtroppo molto diffuso ancora oggi.
Infatti, per una scorretta estensione, la necessità del risparmio, che è virtù in una famiglia o in un’azienda, viene attribuita erroneamente come virtù anche allo Stato (Warren Mosler omette però di specificare che la Iron Lady Margaret Thatcher sostenne invece che la necessità del risparmio è una virtù tanto in una famiglia quanto in uno Stato e su questo sfondo ella vinse le elezioni nel 1979, portando la Gran Bretagna fuori dalla recessione: guardare la bellissima intervista che le fece Enzo Biagi a Downing Street, ndr).
In realtà ciò è falso: uno Stato che abbia tutte le sue legittime prerogative di sovranità (sovranità monetaria, spesa e fiscalità), funziona in modo diametralmente opposto a un soggetto privato. Lo Stato prima spende (pagando i suoi dipendenti, sostenendo le imprese in aree depresse, erogando pensioni, ecc.) e dopo tassa. Le tasse non finanziano la spesa.
“il governo… non deve avere dollari… il governo paga qualunque cosa, cambiando i numeri dei conti correnti. Il governo federale non può “rimanere senza soldi”, come il nostro Presidente ha erroneamente ripetuto (Franklin Delano Roosevelt, ndr). E’ impossibile…
Tutto quello di cui il governo ha bisogno per spendere è cambiare i numeri nei conti correnti nella propria banca, la Federal Reserve Bank. Non c’è un limite numerico alla quantità di denaro che il nostro governo può spendere, ogni volta che vuole spendere”.
Nel passaggio finale, Keynes difende la possibilità di spesa generata dal ricorso dello Stato al debito con la propria banca centrale, oppure tramite trasferimenti di denaro su interesse dalla banca centrale ai propri conti di spesa (interni alla banca centrale), su pagamento di un certo tasso di interesse. I titoli di stato. Esso richiede alla Banca Centrale 100 per ritirarne 99 (abbiamo proposto il caso di un tasso di interesse dell’1%), mentre il restante denaro viene trasferito ai conti del Tesoro. Questo è il funzionamento del debito con una moneta sovrana, per cui esso non è un problema…”.
Come sono state applicate in Italia queste teorie?
Addio alle agenzie di rating tout court, e all’Unione Europea vista come la Trojka degli speculatori, sì alla nazionalizzazione delle Banche Centrali (sic!) di tutto il mondo e vivremo tutti felici e contenti: ma la realtà esiste, e occorre tenerne conto.
Obiezione n. 1 al famigerato “punto di equilibrio” del deficit spending ideologizzato socialisticamente, come una costruzione teorica perfetta (il risultato monstre è stato la quasi bancarotta della Gran Bretagna che pure non era messa male come i “Pigs” del Mediterraneo):
una Banca d’Italia pubblica, in Italia, come prospettata dagli ultra-keynesiani Paolo Savona e Alberto Bagnai, sarebbe come dire “Onorata Società Sindona Andreotti” – visto che nell’annus horribilis 1981 il galantuomo Beniamino Andreatta, con il concorso del Governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi, varò il divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro: due anni dopo l’omicidio sudamericano del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana Giorgio Ambrosoli, “l’eroe borghese” che agiva su mandato del Ministero del Tesoro Ugo La Malfa (con la privatizzazione di Via Nazionale nello scambio di lettere “strictly confidential” tra Andreatta e Ciampi ancorchè bypassando il Parlamento, l’Italia si salvò dal default); 2) nella seconda metà degli anni Ottanta, l’ambizioso Nino Galloni – allora trentacinquenne, e che era l’ex enfant prodige dell’economista di estrema sinistra Federico Caffè, scomparso misteriosamente nell’87 dopo un probabile esaurimento nervoso – propose a Paolo Cirino Pomicino di attuare il deficit spending tout court su base neorooseveltiana.
Fu un autentico disastro: Pomicino, persona di grande ingenuità nella sua furberia partenopea, si
convinse e convinse anche Giulio Andreotti che si potevano spendere i soldi pubblici all’infinito, e ritardare altresì il processo di integrazione dell’Italia con la comunità europea (sic!).
“Le idee hanno conseguenze”: come diceva Friedrich Hayek; Galloni ha illustrato così in un convegno della “Modern Money Theory” di Rimini pochi anni fa il suo “golpe bianco” con la benedizione politica nientemeno che di Giulio Andreotti, il nemico pubblico n.1 di Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi:
“Fino agli anni ’80 si studiavano le teorie keynesiane, poi l’argomento è diventato forbidden (vietato, ndr). Ho iniziato la mia esperienza come funzionario dello Stato al ministero del Bilancio e della Programmazione economica, oggi un “pezzo” del ministero dell’Economia. Iniziarono ad arrivare dei funzionari del Fondo Monetario Internazionale, che sostituirono alcuni di noi, con paghe ben diverse, ma non ne sapevano più di noi che avevamo studiato. Ci furono i primi attriti, io feci un’elaborazione di quello che sarebbe successo con il famoso “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia, cioè lo Stato che non chiede moneta, o si basa sui vincoli di portafoglio delle banche che devono assorbire i suoi titoli a bassissimi tassi d’interesse, che è come battere moneta, non c’è grande differenza.
L’Italia ha rinunciato a questa facoltà, quindi si rivolgeva direttamente al mercato, anzi, a quelle cinque o sei banche di interesse nazionale che stavano per essere privatizzate e che ovviamente utilizzavano un metodo ancora più drastico di quello successivo per far crescere i tassi d’interesse. Se lo Stato chiedeva 5 mila miliardi delle vecchie lire, ne venivano comperate 4 mila e 500 al tasso del giorno e poi per far assorbire quelli rimasti si facevano schizzare i tassi d’interesse a livelli insostenibili.
Dissi che con quel sistema nel giro di sei o sette anni il debito pubblico sarebbe raddoppiato e avrebbe superato il prodotto interno lordo. Inoltre, la disoccupazione sarebbe salita al 50%, le imprese non avrebbero più assunto. Mi presero per pazzo, alla fine lasciai i miei incarichi nella pubblica amministrazione”.
Il piano di Galloni per l’uscita dall’Euro era appoggiato anche da Vittorio Sbardella, uno dei garanti dei cugini Salvo nella corrente andreottiana del Lazio: “Un certo Giulio Andreotti mi chiamò per chiedermi se volessi contribuire a cambiare l’economia italiana, poi si fece vivo Cirino Pomicino, che mi mise a capo della struttura tecnica del ministero del Bilancio. Io volevo rallentare il processo che avrebbe portato all’Euro. Volevo un percorso diverso per entrare nell’Europa Unita, serviva una condizione di sviluppo economico, non depressiva per non perdere posti di lavoro, ma per crearli. Successe il cataclisma, la Fondazione Agnelli e Confindustria si schierarono contro.
Nel 1989 andavo a dei seminari, a degli incontri, che erano organizzati dall’Onorevole o Senatore Donat Cattin, il quale pubblicava nella sua rivista, “Terza fase”, i miei articoli su queste problematiche monetarie (il figlio di Donat Cattin era un terrorista delle Brigate Rosse, ndr). E una giornalista del “Manifesto”, una certa Norma Rangeri, fece un articolo su di me scrivendo appunto che, siccome il Debito Pubblico superava il PIL quell’anno, era al 56%, c’era stato un oscuro funzionario del Ministero del Bilancio che l’aveva detto ma invece di essere ascoltato era stato costretto ad allontanarsi. Questo creò un grande tafferuglio sui mass media al culmine del quale mi scrisse Giulio Andreotti, che doveva fare il governo, e mi disse “Caro Galloni, vuoi collaborare per cambiare l’economia di questo Paese?”; perché c’era qualcuno che non la pensava in modo allineato. Io ovviamente aderii entusiasticamente e mi misi a disposizione del suo braccio destro (Paolo Cirino Pomicino, ndr), il quale mi chiese “Ch’aggi à fa pè cambià l’economia di questo Paese?”, avete capito di quale ministro sto parlando? Molto simpatico… ma lasciatemi andare avanti…
E gli dissi, guardi, lei si faccia dare il Ministero del Bilancio e poi metta me a capo della Politica Economica, al resto ci penso io. E così fu. Mi disse “sono il Ministro del Bilancio”, io andai là e non solo mi mise a capo di tutta la struttura tecnica, del Ministero ma anche a capo di un gruppo di venticinque (25) professori universitari di economia. Cominciammo a mettere mano alla famosa “Relazione Previsione Programmatica”, che sarebbe come il documento di Politica Economica di oggi.
La finalità di questa mia azione era quella di rallentare il processo di quello che avrebbe portato all’Euro. Cioè, non che noi non volessimo quel percorso ma lo volevamo in tempi diversi, adeguati all’esigenze dell’Italia anche di ristrutturazione e riconversione industriale, in condizioni di sviluppo economico e non in condizioni recessive, perché questo avrebbe fatto la differenza tra creare posti di lavoro buoni e invece perderli. Dopo qualche settimana che lavoravo a questo progetto successe il disastro.
L’allora cancelliere tedesco Helmut Kohl chiamò al telefono l’ex ministro del Tesoro Guido Carli. Pomicino mi fece capire che non c’era più spazio per quel mio tentativo. Dovetti scrivergli su un pezzettino di carta, c’erano i microfoni (in stanza, ndr), mi intimò di non parlare. Gli chiesi in quel modo se la telefonata fosse arrivata oppure no, Pomicino fece segno di sì con la testa…
“Un certo Carlo Azeglio Ciampi chiamò Berlinguer e gli disse che se si fosse andati avanti con il discorso sulla moneta, tutti i figli della nomenklatura comunista che stavano negli uffici e negli studi delle banche sarebbero andati a casa”.
Orbene, nella sua straordinaria intelligenza che faceva gli effetti speciali quando non era oscurata dal disturbo bipolare, insorse il giurista Francesco Cossiga contro Nino Galloni, che si proponeva da garante del “partito di Guido Carli” e della linea dell’intransigenza etica del Cancelliere tedesco Helmut Kohl:
“Un paese che sopporta come ministro del Bilancio, uno psichiatra di scarsa fortuna, non deve avere paura di niente. Quel vicepresidente della Camera che voleva insegnare a me quando devo sciogliere le Camere, era un analfabeta di ritorno, ma Pomicino è un analfabeta e basta. Mi spiace che si ostini a farsi chiamare ministro del Bilancio con la B maiuscola. Qualcuno deve avergli parlato di Keynes, delle sue teorie sulla spesa, e allora lui si ritiene un keynesiano perché spende tanto. Dovremmo regalargli una biografia di Keynes, ma prima dovremmo fargliela tradurre in napoletano”, disse Cossiga a Giuseppe Turani (senza sapere di essere da lui intervistato, ma Turani era capace di questa ed altre scorrettezze, ndr). Se ne parla anche nel pezzo “Il deficit spending 2.0 è la “mano invisibile” di Steve Jobs: solo il business ci salverà, non l’aiuto ai poveri”.
Ps – Oggi a tradurre Keynes in napoletano, ci pensa il Movimento 5 Stelle con Elio Lannutti e Paolo Savona. Ma Super Mario ha subordinato teoreticamente il deficit spending al laissez faire – ancorchè nel “perfezionamento senza fine dell’ideale della opening society” indicato da George Soros (cioè la rinuncia al concetto di equilibrio): un’altra volta, ha vinto per fortuna il partito di Guido Carli, e l’Italia per ora non finisce come l’Argentina.
L’ideologia e la realtà sono categorie incompatibili.
di Alexander Bush