Joyce Montale Beckett, come non te li aspetti

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“Per la rubrica “Saggi” Giuseppe Brescia ci ha inviato uno scritto dal titolo: Joyce Montale Beckett, come non te li aspetti”


L’ultima parte degli “Ossi di seppia” di Montale è ricca di prestiti da Joyce, Baudelaire, Proust, ed insieme foriera di avvenire, verso “Le Occasioni”, per l’autore, o “Finnegans Wake” per Joyce, e la versione del rapporto interpersonale in “Delta” di Samuel Beckett. Fedele al pluriprospettivismo della inesauribile ricerca interdisciplinare, noto intanto di essere in presenza, e costanza d’attività, di spiriti europei, coltivati e profondi, al centro di una “grande conversazione” e di reciproca fruizione, ben prima dell’età di internet o della “Gestellung” tecnocratica. Montale risente, dunque, ne “I morti”, del ricordo di “The Dead”, racconto joyciano di “Dubliners”, “Gente di Dublino”; e di Baudelaire, che aveva cantato in “Fiori del male”, al componimento numero cento, “La serva dal gran cuore”, di cui pochi hanno cura ma che comunica ancora dalla tomba ( cfr. il mio “Notre Infini” con “La douceur chez Baudelaire”, in “liceocarlotroya.altervista.org” marzo e giugno del 2012 ). Montale diceva ai vv. 28 sgg.: Così/ forse anche ai morti è tolto ogni riposo / nelle zolle: una forza indi li tragge / spietata più del vivere, ed attorno, /larve rimorse dai ricordi umani, / li volge fino a queste spiagge…” Nell’altra lirica “Incontro”, il tema è ripreso, con quello della “foce” e della “scomparsa” della donna ( qui, “Arletta”), evocata con eco direttamente proustiana ( vv. 46-49 ). “Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari /qual sei venuta, e nulla so di te. / La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari /dal giorno sparsa già.” Dove “ tu dispari” è evidente francesismo, suggerito dal coevo penultimo volume della “Recherche”, la cui prima bozza del 1922, ma edita il ’25, era “Albertine disparue” ( cfr. “Bassani storicista e francesista” e “Albertina se n’è andata !”, in “andrialive” del 14 ottobre e 7 novembre 2012 ). Sostiamo, ora, sulla poesia “Delta”, del 1926, e, come tale, aggiunta nell’edizione del 1928 di “Ossi di seppia”. Qui il tema della “foce” del fiume ( intimamente vichiano-joyciano ) si compagina mirabilmente con quello della “memoria” che guarda la vita segreta e l’oscura regione dell’inconscio: sì da impressionare Joyce, maestro del giovane Samuel Beckett, in veste di suo primo traduttore su “This Quarter”, rivista modernista del 1930. “La vita che si rompe nei travasi / secreti a te ho legata: / quella che si dibatte in sé e par quasi / non ti sappia, presenza soffocata. // Quando il tempo s’ingorga alle sue dighe / la tua vicenda accordi alla sua immensa, / ed affiori,memoria , più palese / dall’oscura regione ove scendevi, / come ora, al dopopioggia, si riaddensa / il verde ai rami, ai muri il cinabrese. //Tutto ignoro di te fuor del messaggio / muto che mi sostenta sulla via: / se forma esisti o ubbia nella fumea / d’un sogno t’alimenta / la riviera che infebbra, torba, e scroscia / incontro alla marea. // Nulla di te nel vacillar dell’ore / bige o squarciate da un vampo di solfo / fuori che il fischio del rimorchiatore / che dalle brume approda al golfo”. Senso letterale della poesia ( edita in “Tutte le poesie”, Meridiani, 1984, p. 97 e altrove ) è: “Ho legato a te la vita che si rompe nei profondi sommovimenti dell’anima;la stessa vita, presenza nascosta e soffocata, che si dibatte e agita in sé e par quasi non conoscerti. /Quando il tempo interrompe quasi il suo corso, gorgogliando alle sue dighe, allora, tu o memoria, accordi la tua vicenda all’altra , sconfinata ed immensa, del tempo, e riemergi più nitida dalla stessa regione oscura nella quali ti stavi immergendo, allo stesso modo in cui ora, dopo la pioggia, il colore verde sembra riaddensarsi sui rami e il rosso ( da cinabro: cinabrese ) sui muri./ Tutto ignoro di te tranne la comunicazione silenziosa ( messaggio muto è un ossimoro ) che mi aiuta nel cammino: che tu esista realmente come forma formata o che tu sia solo un fantasma nei vapori del sogno, ti nutre il fiume che si agita, si intorbida e scroscia furiosamente contro il mare. / Nulla di te, della tua presenza, avverto nell’oscillare delle ore grigie o di colpo squarciate da una vampata di zolfo, eccettuato il fischio del rimorchiatore che approda dalla nebbia nel golfo”. Ci sono termini danteschi, leopardiani, finanche freudiani in parte. Dove l’accordarsi di due ritmi temporali, il minore o particolare della occasione memoriale di “risveglio”, con quello immenso e universale della “latenza” e della “sedimentazione” infinita, ben sembra riecheggiare il duplice volto della memoria, lumeggiato da Aristotele a Bergson. Ma io direi anche che l’immagine delle regioni oscure e profonde in cui scende, o può scendere, la “memoria”, richiama inevitabilmente il “regno delle madri” di Goethe e il “vivente originario” dello Schelling, del resto figure e dottrine – pur esse – anticipatrici rispetto alla visione dell’inconscio. Ciò che impressiona i poeti europei modernisti è però, insieme con il momento della memoria e sua duplice vicenda di ascesa e discesa, latenza e risveglio, quel sigillo profondo e incisivo dei “secreti travasi”, latinamente “secreti”, a indicare non solo le animazioni più profonde della psiche, ma le continue trasmigrazioni di idee e di forme da un poeta o autore all’altro. Ed ecco dunque la versione che ne propose il giovane Beckett, in una con quelle sul “Paesaggio” di Raffaello Franchi e “Ritorno a casa” di Giovanni Comisso. “To thee/ I have willed the life drained / in secret transfusions, the life chained / in a coil of restlessness, unaware, self-angry. // When time leans on his dykes / then time / be his allconsciousness / and memory flower fortrh in a flame / from the dark sanctuary, and shine / more brightly, as now, the rain over, the dragon’s-blood / on the walls and the green against the branches. // Of thee / I know nothing, only / the tidings sustaining my going, / and shall I find / thee shape of the fumes of a dream / drawing life / from the river’s fever boiling darkly / against the tide.// Of thee nothing is the grey hours and the hours / torn by a flame of sulphur, ( only / the whistle of the tug / whose prow ha ridden forth into the bright gulf” (“ This Quarter”, Vol. II, n. 4,aprile-maggio-giugno 1930: cfr. anche Marco Sonzogni, “Debiti e doni della traduzione poetica: Montale tra Th. S. Eliot e S. Beckett – Appunti su Montale traduttore e tradotto”,in “The Italianist”,Anno 2005/2, pp. 173-207 e “Secret Transfusions”, Toronto, Buffalo – Guernica 2010 ). Noteremo che, laddove l’attacco dei versi in Montale è giocato sul tempo “Quando” o sulla antitesi “Tutto” – “Nulla”, il Beckett privilegia e anticipa i pronomi personali, “To thee” – “I have”; “Then Thine” -”Of thee”; “I know” “thee shape” – “Of thee nothing”. Quasi a rimarcare il rapporto tra l’io poetante e la donna non si sa se reale o immaginata, se pur tale da aver lasciato traccia e segnale salvifico di sè. Con questa traduzione, Beckett dice: “Io”!. Per la prima volta, si firma per esteso e non soltanto con le iniziali. Catturato da Montale, trae auspici per la sua interpretazione esistenziale del rapporto tra “io” e “tu”, “io” e “l’altro”: tesi che, negando ogni allegorismo, arriverà sino a “Waiting for Godot” e ai drammi o atti unici della tarda maturità. Joyce, compiuto l’”Ulysses”, sulla strada di “Finnegans Wake” ( 1922-1939), recepisce l’importanza della lirica montaliana “Delta”; la fa sua; la indica all’allievo irlandese nato il 1904 e autore della tesi “Dante…Bruno.Vico..Joyce”; la esalta nel personaggio di Anna Livia Plurabelle, Amnis Liffey Plurabilities, la Donna Fiume, il Delta, il ricominciamento vitale, o -ancora – il “ricorso” qual è idealisticamente inteso il 4° Libro di Finnegans Wake. Ecco, ancora: la lezione dell’Italia e del suo pensiero poetante, in merito all’ermeneutica del Tempo e della Memoria, come contributo universale alla storia delle idee ( Nel centenario di Gianfranco Contini, ricorderò infine la “dialettica di sentimenti” individuata nella poesia “I limoni” e la dialettica di “asperitas” e lenitas”, da Dante di Malebolge a Montale, in un “tutto vitale” ).

Giuseppe Brescia

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Giuseppe Brescia
Filosofo storico e critico, medaglia d'oro del MIUR, Premio Pannunzio 2013 e Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica,Componente dei Comitati per le Libertà, ha procurato di innestare storicismo epistemologia ed ermeneutica. Dopo la fase filologica('La Poetica di Aristotele','Croce inedito' del 1984 ),ha espresso un sistema in quattro parti: 'Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva', 'Epistemologia come logica dei modi categoriali', 'Cosmologia', 'Teoria della Tetrade', 1999-2002).Per Albatros ha pubblicato il commento alla lezione di Popper in'Maledetta proporzionale' (2009,2013);'Massa non massa.I quattro discorsi europei di Giovanni Malagodi'(2011);'Il vivente originario'(saggio sulla filosofia di Schelling, con prefazione di Franco Bosio, Milano 2013); 'Tempo e Idee. Sapienza dei secoli e reinterpretazioni', con prefazione di Bosio (2015).I temi del tempo e del 'mondo della vita' si intrecciano con le attualizzazioni del 'male', da '1994'.Critica della ragione sofistica (1997), 'Orwell e Hayek', 'Ipotesi su Pico'(2000 e 2002) sino al recente'I conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male'(Bari 2015).E' Presidente della Libera Università 'G.B.Vico' di Andria

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