La ‘Belle époque’ ucraina è finita?

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Del gaudio
La ‘belle époque’ ucraina di fine anni novanta e inizi duemila, quando il Paese appariva, all’ignaro visitatore, preferibilmente maschio e con fattezze mediterranee o mitteleuropee, come la terra dimentica dei mangiatori del loto ai compagni di Ulisse, sembra volgere al termine.
Il senso di ospitalità, la leggiadra spensieratezza di ‘Kreščatyk’ nel brulichio domenicale e tardo primaverile, simile a una via del corso di una città meridionale, ove le donne, simili a farfalle variopinte, posavano in bella mostra, quel brio notturno e trasgressivo, quell’inganno ammaliante per gli stranieri, sembra essere stato definitivamente ingurgitato dai funesti capovolgimenti sociali e politici che hanno condotto prima alla rivoluzione di piazza Majdan e poi all’occupazione forzata della Crimea.
Allo stato attuale sorgono due questioni di rilevanza internazionale. La prima è legata al processo d’integrazione europea di questo vasto e complesso paese. La seconda, interrelata alla prima, ha a che fare con la voluttà di cambiamento che la rivoluzione di piazza dell’Indipendenza (i.e. Majdan Nezaležnosti) avrebbe dovuto apportare all’Ucraina.
Il nostro punto di vista, certamente soggettivo, nonostante le nostre pretese di oggettività, ci inducono a riflettere su quanto segue: una parte del Paese e, non necessariamente, quella geograficamente più prossima ai confini dell’Unione Europea, condivide, almeno in teoria, i principi di ‘democrazia’, ‘libertà individuali’ e di libera circolazione di beni e persone. Eppure, sarebbero costoro davvero pronti a contribuire concretamente alla crescita morale, scientifica ed economica (si badi attentamente alla sequenza degli attributi!) dell’Europa? Oppure quest’ultima rappresenta solo una meta verso cui approdare per fini personali, per sfruttarne le risorse rimaste e le opportunità, come già accade in numerosi paesi membri, dove i nuovi arrivati occupano posti di lavoro, usufruiscono dello stato sociale, senza offrire nulla in cambio, tranne che una manodopera a costo ridotto e una concorrenza sleale? Sono pronti gli ucraini pro Europa a creare condizioni organizzative, sociali e di vita tali nel loro paese d’origine che siano altrettanto allettanti per gli europei che intendano qui vivere e lavorare? Se fossero tutti politicamente e culturalmente così ben preparati come l’attuale premier Arsenjuk, ci si potrebbe quasi credere.
Sono serviti i sacrifici umani della cosiddetta “centuria celeste” (nebesna sotnja), i sacrifici fisici ed economici dei “majdancy” e quelli a cui siamo tutti sottoposti, soprattutto da quando una parte dei già modesti stipendi sono stati ‘congelati’, a liberare il Paese da governi corrotti e burocrazia opprimente, ottusa e incongruente? Si riuscirà a riformare in maniera radicale tutti i quadri direttivi? Oppure l’opportunismo endemico di una mentalità atavica, acquistabile dal migliore offerente – (tratto ben valutato dai bizantini quando ‘acquisivano’ le loro alleanze strategiche con le popolazioni a settentrione del Ponto) – non consentirà innovazione alcuna?
Certum est, che l’Ucraina vissuta dall’interno, non più da ospite e con remunerazione locale è un ambiente complicato da sopportare alla lunga, soprattutto se non si è mossi da alti ideali morali, religiosi, culturali e da una profonda conoscenza di un popolo, a tratti bonario e festoso.
È particolarmente difficile vivere le due Ucraine: da un lato, i relitti di un paese post-sovietico con una sfera pubblica macchinosa e viziosa, dall’altro, la palude privata di un capitalismo sfrenato (dykyj kapitalizm), in cui sguazzano i novelli oligarchi e ucraini arricchiti (o nuovi ucraini), avviluppati nel loro edonismo esasperato e in un lusso ostentato, incuranti dei disastri ambientali, dell’inflazione dirompente, dell’indigenza altrui e dalla qualità scadente dei prodotti alimentari che si riverbera nella bassa aspettativa di vita della gente comune.
A breve, contingenze internazionali e di pace permettendo, seguiranno le elezioni del nuovo presidente e del direttivo politico. Ci si chiede: “Cambierà veramente qualcosa”? O i conservatori della propria poltrona (i cosiddetti “posadovcy”, da posada che significa carica, mansione, posto pubblico / amministrativo di rilievo, quindi funzionari affezionati al loro incarico di prestigio) avranno nuovamente il sopravvento?
Non ci resta che concludere con il detto latino: “SPES ULTIMA DEA”.

Salvatore del Gaudio

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