La burocrazia è elemento necessario dello stato, la struttura che lo fa funzionare; per questo è necessaria e occorre che funzioni al meglio: non può esistere uno stato veramente moderno senza una burocrazia efficiente.
Per una vera riforma della burocrazia occorre intervenire non solo su uomini e carriere, ma anche su strutture e norme.
CAP I UOMINI E CARRIERE
La burocrazia dell’Ottocento è si è basata soprattutto sulla fedeltà dei propri membri.
Ne erano cardini la garanzia del posto (si veniva espulsi sono per fatti gravissimi o per indegnità), prestigio sociale (ogni membro godeva di rispetto e autorità presso i cittadini) e l’anzianità (eccetto che ai massimi livelli si veniva promossi per anzianità, cioè chi era entrato in carriera prima o aveva raggiunto prima quel grado aveva automaticamente diritto alla promozione).
È questo un approccio ormai più che desueto: dalla metà del secolo scorso ogni ufficio ha gestito i propri membri in base a criteri di efficienza e di valutazione dei singoli: fa carriera chi lavora meglio (non di più) e garantisce migliori risultati.
Applicare questo principio alle strutture della burocrazia statale non è né facile né semplice: ma è una strada obbligata
Un esempio ne è la magistratura: non è semplice stabilire criteri di valutazione, ma affermare che in questo modo si lede l’autonomia e la creatività di un giudice è francamente eccessivo. Abbiamo esempi di giudici che si vedono rovesciate in appello buona parte delle proprie sentenze o che impiegano anni per scrivere una motivazione, ma che comunque continuano ad avanzare nella propria carriera.
CAP II STRUTTURE
Una burocrazia non può funzionare senza strutture efficienti e adeguate.
In Italia abbiamo un numero incredibile di enti e quindi di sovrapposizione di competenze.
Livelli di competenze: nel campo delle amministrazioni locali ne esistono cinque livelli: municipi (nelle grandi città o Comunità montane nelle zone montagnose), comuni, province, regioni e Stato: un record in Europa con inevitabili sovrapposizioni di competenze.
Numero di strutture burocratiche: esistono in Italia 35000 centri di spesa: un numero incontrollabile e dispersivo; una pletora di enti che è impensabile controllare e che permettono, sprechi, abusi e inefficienze di gestione. È sufficiente pensare al destino della Consip che avrebbe dovuto diventare un centro unico di acquisti e forniture e che viene in realtà aggirato in mille modi.
Pertanto si dovrebbe:
- ridurre il numero degli enti accorpando i comuni con pochi abitanti; sopprimere le province (non abolendo i consigli provinciali come è stato fatto lasciando immutate tutte le strutture);
accorpare regioni nate solo per ragioni campanilistiche (vedi il Molise con gli stessi abitanti di una media città)
In questo modo si ridurrebbero non solo i costi di gestione (meno personale, meno sedi) ma si avrebbe una migliore efficienza data da strutture più grandi e quindi più adatte a svolgere i compiti loro delegati. - Ridurre i centri di spesa: poche strutture sono meglio controllabili sia dalle magistrature contabili sia dagli stessi cittadini e si otterrebbero comunque economie di scala.
Ne abbiamo prova con la gestione dei comuni: troppo piccoli per avere le competenze necessarie sono costretti a consorziarsi per affrontare problemi troppo grandi per loro (ad esempio, nettezza urbana, forniture idriche, vigilanza) creando così ulteriori strutture burocratiche sempre meno controllabili. Un esempio era la vecchia organizzazione dei comuni: quando si voleva fare un’opera pubblica il comune reperiva i fondi e il Genio Civile (uno per provincia) si occupava della realizzazione tecnica. - Abolire le società cosiddette “in housing”: cioè quelle società nate per fornire servizi ai comuni in quanto o forniscono non più di un terzo dei propri servizi al comune proprietario e allora sono normali società con un ente come azionista principale oppure vanno conglobate nel comune che le possiede e a cui forniscono buona parte dei servizi perché in questo caso si tratta semplicemente di una duplicazione di enti avente il solo scopo di rendere opaca la gestione e fornire posti e prebende alla politica spicciola.
CAP III NORME
Una burocrazia funziona quando esistono norme chiare, semplici, poco numerose e comprensibili a tutti.
Esattamente quello che non c’è in Italia. Dove:
- è vigente un numero enorme di leggi: quasi 110.000 (tra cui ancora 33.000 regi decreti, 7200 decreti luogotenenziali e 21 norme firmate da Mussolini!) quando si considera che in uno stato moderno le leggi non dovrebbero essere più di diecimila!
- Le norme semplici e chiare sono un’esigua minoranza. Per la maggior parte sono leggi di decine di articoli suddivisi a loro volta in paragrafi e sottoparagrafi: decine di pagine che rendono necessarie norme attuative e regolamenti altrettanto complessi per cercare di renderle attuabili e comprensibili.
- Le norme dovrebbero essere inoltre comprensibili a tutti. Norme con terminologie da addetti ai lavori e con riferimenti continui ad altre norme, magari vecchie di decenni, le rendono un rebus inestricabile per i non addetti. Chi non ha mai avuto a che fare con leggi che iniziano con una raffica di “visto la legge n.” oppure “in riferimento al decreto n.” oppure addirittura “visto il decreto luogotenenziale n”? Un autentico ginepraio da cui è impossibile districarsi per chi non è un addetto ai lavori.
Se si proponesse di concludere con un “questa legge sostituisce tutte le precedenti aventi lo stesso argomento”, non sarebbero leggi di più facile comprensione?
di Libertates