La Cassa integrazione di anno in anno è diventata uno strumento di distorsione del mercato e di favoritismi
Sui giornali è apparsa in questi giorni una notizia “curiosa”: una coppia di assistenti di volo dell’Alisarda ha intentato causa alla compagnia perché, dopo essere stati messi in cassa integrazione nel 2002, i due sono stati richiamati in servizio nel 2005 subendo, nel frattempo trasferitisi negli USA, un grave problema psicofisico con conseguenti danni monetari, fisici e biologici (danni questi che, nelle richieste alla magistratura italiana, non mancano mai!).
A parte alcune domande che ci nascono spontanee:
- ma che sistema schizofrenico è mai quello italiano che ammette simili richieste di danni (giustamente, meno male diciamo noi, respinte dal giudice)?
- ma come hanno vissuto questi signori per tre lunghi anni in America? Da turisti con i soldi della Cassa integrazione (cioè nostri) oppure, come temiamo, grazia ad un altro lavoro ben remunerato e in nero?
- Dopo il loro rifiuto a rientrare al lavoro, corredato ovviamente di opportuni certificati medici, hanno presumibilmente continuato a ricevere lo stipendio o la cassa integrazione per altri 8 anni (dal 2005 al 2013) oppure come hanno potuto vivere?
La vera domanda che dobbiamo porci è invece quale funzione abbia davvero la cosiddetta “Cassa integrazione in deroga”.
La Cassa integrazione guadagni (questo il so vero nome originale) è nata con lo scopo di sopperire agli stipendi di operai la cui ditta aveva dovuto interrompere l’attività per qualche incidente o cause esterne: un provvedimento-tampone per ovviare a situazioni particolari e ben definite nel tempo.
Poi, col passare del tempo, è diventata “in deroga”, cioè un ammortizzatore sociale che permette alle industrie di superare momenti di crisi senza ricorrere a licenziamenti: e già qui si vede come lentamente si sia trasformata in un elemento di distorsione e di iniquità:
- le imprese in questo modo scaricano le perdite sulla collettività (che paga la Cassa attraverso l’Inps), tenendosi gli utili
- i dipendenti hanno garantito per anni uno stipendio (anche se ridotto) senza nessun obbligo: ovvio incentivo a trovarsi un secondo lavoro in nero
- questo meccanismo viene applicato solo alle imprese medio-grandi, per le piccole e piccolissime imprese (che sono il vero tessuto connettivo dell’industria italiana) non esiste nessuna tutela né per l’imprenditore né per il dipendente: se questi viene licenziato può solo sperare nel magrissimo assegno di disoccupazione per un breve periodo: poi il baratro della disperazione
ma il massimo della distorsione si è avuta con il caso Alitalia: migliaia di dipendenti in cassa integrazione per 7 (sette!) anni integralmente a spese dello Stato.
In un momento in cui si parla tanto di “job act” occorre una profonda modifica di tutto questo sistema in nome di quella libertà e di quella concorrenza da sempre chiesta da Libertates:
- sostituire la Cassa integrazione con un assegno sostitutivo (il “salario minimo”) garantito a tutti coloro che hanno perso il lavoro
- una durata certa e uguale per tutti di questo salario integrativo (1 o 2 anni?)
- la sospensione del salario in caso di rifiuto di un nuovo posto di lavoro
- corsi di aggiornamento o qualificazione obbligatori
- divieto per le imprese di distribuire utili in periodo di licenziamenti
solo così si garantirebbe parità di condizioni a tutti
Angelo Gazzaniga