Si parla tanto di Cassa Integrazione, ma come dovrebbe essere in uno Stato moderno, efficiente e liberale?
La Cassa Integrazione Guadagni nacque agli inizi della Prima Repubblica con uno scopo precipuo quanto utile: aiutare le imprese che avevano avuto problemi esterni (come un incendio dei macchinari, un terremoto) a superarli attraverso la corresponsione di una parte degli stipendi ai lavoratori temporaneamente disoccupati per un periodo ben definito (massimo due anni). In questo modo l’azienda poteva concentrare le risorse sulla ricostruzione e i dipendenti non rimanevano senza stipendio.
Con l’andar del tempo, la Cassa Integrazione ha assunto tutt’altro aspetto: quello di ammortizzatore sociale e di sussidio occulto per aziende in difficoltà: basti l’esempio della Fiat che ha avuto per un buon decennio praticamente la totalità dei dipendenti di Mirafiori in cassa integrazione. Poi, ultimamente, ha assunto un’ulteriore funzione: quella di sussidio occulto di disoccupazione. Il caso più eclatante è stato quello dell’Alitalia: grazie alla Cassa si è garantito un sussidio di disoccupazione (perché nient’altro che di quello si trattava) dell’80% dello stipendio per otto anni.
In questo modo si sono create diverse categorie di lavoratori:
- i privilegiati (tipo Alitalia) a cui è stata garantito uno stipendio quasi integrale per otto anni oppure (caso Fiat) uno stipendio seppur parziale per decenni
- i “normali” che usufruiscono della Cassa per un periodo massimo di due anni
- i “paria”: cioè i dipendenti di piccole aziende o di artigiani che, in caso di difficoltà, si trovano letteralmente in strada senza stipendio e senza liquidazione (spesso evaporata nel fallimento dell’azienda) con il solo miserrimo sussidio di disoccupazione.
Una situazione costosa, contraria a ogni giustizia sociale (favorisce coloro che preferiscono rimanere in cassa integrazione e, magari lavorare in nero, piuttosto che cercare un nuovo lavoro) e anche anticostituzionale perché la Costituzione garantisce l’uguaglianza e la parità di trattamento tra i cittadini.
Non è però detto che sia una situazione insanabile. Sarebbe sufficiente far tabula rasa del coacervo di norme e decreti esistenti e sostituire CIG e sussidio di disoccupazione con un nuovo strumento che dovrebbe:
- coprire tutti coloro che per qualsiasi motivo perdono il lavoro per un determinato periodo di tempo (due anni?)
- una parte (2/3?) di questo contributo dovrebbe essere uguale per tutti e sufficiente a garantire un reddito di sopravvivenza
- una parte (1/3?) dovrebbe essere invece commisurata allo stipendio sinora ricevuto per garantire un reddito adeguato al precedente
- questo sussidio andrebbe integrato con corsi di aggiornamento e formazione e verrebbe tolto nel caso in cui l’interessato rinunciasse ad almeno tre lavori proposti
Una riforma questa che, come tante altre, sarebbe a costo zero (o probabilmente addirittura più economica dell’attuale situazione), più trasparente, più semplice e soprattutto più equa nei confronti dei cittadini.
Si cancellerebbero d’un tratto privilegi, interessi corporativi, operazioni poco chiare e aiuti sottobanco; si sostituirebbe tutto un complesso di norme intricate, confuse e spesso incomprensibili con una normativa semplice, chiara e univoca. Proprio quello che andrebbe fatto per far ripartire l’Italia.
di Angelo Gazzaniga