Anche per il grande orso asiatico, non più dormiente, è arrivato il momento di prendere decisioni importanti. Chiamalo bivio, chiamala svolta, fatto sta che la Cina inizia a sentire il peso della crisi produttiva a livello mondiale e ciò si è ripercosso sul diciottesimo congresso del Partito comunista dell’8 novembre. Come spiegato da Erich Follath e Wieland Wagner per “Der Spiegel”, quest’anno Pechino vedrà una crescita produttiva del solo, si fa per dire, 7,4%. Poco rispetto alle vertigini degli anni scorsi. Un rallentamento fisiologico, sia per ciò che sta accadendo principalmente sui mercati occidentali, sia perché se non si alza l’asticella, il rischio di ristagno aumenta. Questo gli imprenditori cinesi lo hanno capito, e a dire il vero, anche Wen Jiabao che già due anni orsono aveva provato ad introdurre a piccoli passi un concetto di economia liberista. Niente da fare, proposte rimandate al mittente e “suicidio” politico del quale il primo ministro ha fatto le spese al Congresso.
Una sorta di rottamazione o formattazione è in atto anche in Cina, però, dove sono i giovani imprenditori, a suon di investimenti all’estero, a far balenare ai dinosauri del PCC il bivio di cui sopra. O perseguire la strada del “made in China”, oppure allargare i propri orizzonti “occupando” finanziariamente ruoli chiave oltre confine, grazie a nuove riforme strutturali che con lentezza portino all’abbandono del monopolismo di Stato.
L’imprenditoria cinese sta acquistando proprietà in tutto il mondo e in molti casi si tratta di iniziative di natura strategica intese a garantire materie prime, porti, vie di comunicazione. È di luglio la notizia che il gigante energetico Sinopec abbia acquisito per un miliardo e mezzo di dollari quasi il 50% della compagnia petrolifera canadese Talisman Energy. Altro esempio: la Sany, ad inizio 2012, ha investito mezzo miliardo di euro nella tedesca Putzmeister, azienda leader nel settore delle pompe per il cemento.
Insomma, il più lo stanno facendo i giovani yuppies cinesi nella speranza che dentro le stanze del partito qualcosa cambi. Lo auspica la Banca Mondiale che nel rapporto di marzo parla chiaramente di “un urgente bisogno di cambiamenti”. Lo stesso dicasi per diversi responsabili regionali del partito come Wang Yang (territorio del Guangdong), nuovo astro nascente del progressismo cinese.
Il percorso intrapreso da Pechino arriva da molto lontano e con diverse forzature è arrivato alla meta prefissata. Sarebbe paradossale, proprio nel momento decisivo, davanti ad un bivio, optare per non cambiare la rotta.
Alessio Molteni