La Coppa Italia, come il Superbowl: giochiamola ogni anno in una città diversa

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ACF Fiorentina v SSC Napoli - TIM Cup Final
Quanto successo all’Olimpico è solo un episodio, ma purtroppo un esempio del nostra grado di civiltà e della nostra incapacità a risolvere i problemi

Hanno fatto il giro del mondo le immagini dell’ultrà seduto a cavalcioni sulla recinzione tra la curva e il campo di calcio, che parla con il capitano del Napoli Hamsik e, con le mani, fa cenno ai tifosi di stare calmi, quasi a dire “ci penso io”, e subito dopo fa sì con il capo, alza i pollici e dice che si può giocare. Sembrava uno spot per la serie tv Gomorra, in onda su Sky. Ma non era fiction, era tutto vero. Purtroppo.

Le autorità negano che vi sia stata una trattativa con i tifosi, dicendo che si sono limitate a comunicare le condizioni di salute del giovane rimasto gravemente ferito poco prima della gara dopo una sparatoria. Ma tutti, vedendo quelle immagini, abbiamo avuto l’impressione di qualcosa di anomalo. Non stiamo qui a criticare l’operato delle forze dell’ordine, ci limitiamo ad osservare che i capi ultras la fanno da padroni. E questo avviene da anni, nonostante le tanto sbandierate “tessere del tifoso”.

Chiediamoci se in un paese normale è possibile che un personaggio come “Genny ‘a carogna” con le sue valutazioni possa condizionare la vita di molte persone (quelle presenti allo stadio Olimpico e quelle collegate davanti alla tv per vedere la partita). Chi gli ha attribuito questo potere? Può, lo Stato, riconoscere in lui un interlocutore? Perché è di questo che stiamo parlando. Se c’era da comunicare qualcosa ai tifosi, perché non lo si è fatto con un normale annuncio all’altoparlante o magari con un megafono? E perché si è dovuto muovere Hamsik per comunicare con i tifosi? Non bastava un funzionario di polizia, non era abbastanza autorevole agli occhi degli ultras? In uno stadio di calcio valgono le regole della normale vita di tutti i giorni o c’è un codice parallelo a cui tutti, volenti o nolenti, si devono attenere?

L’impressione, purtroppo, è che ciò che è avvenuto fuori e dentro allo stadio Olimpico sia solo la punta dell’iceberg. Il problema è molto più vasto e attiene al nostro livello di civiltà, caduto molto in basso, sprofondato ben al di sotto del quinto posto in classifica, in Europa, dove si trova il calcio italiano sulla base del ranking Uefa. Un problema che riguarda in primo luogo regole e giustizia, ma non solo. Vediamo solo un esempio: per entrare allo stadio bisogna togliere il tappo alla bottiglia di plastica. È una regola che, assurda o no che sia, va rispettata, per la sicurezza di tutti (scagliare una bottiglia chiusa rischia di spaccare la testa a qualcuno e c’è sempre qualche imbecille pronto a farlo). Ora, se esiste e deve esistere questa regola, non si capisce perché all’interno degli stadi possano regolarmente entrare oggetti molto più pericolosi, come fumogeni, petardi e persino bombe carta. Si può fare un regolamento e puntualmente non farlo rispettare o, peggio, farlo rispettare solo alle persone “normali” (quelli dei tappi delle bottiglie), concedendo agli ultras (quelli dei fumogeni) piena libertà di azione?

Si capisce facilmente che non si può demandare tutto alle forze dell’ordine, perché altrimenti non basterebbe un esercito intero per gestire l’ordine pubblico su tutti i campi di calcio, tra serie A, B e campionati minori. Ci vuole qualcosa di diverso. Si deve affidare la gestione della sicurezza al personale privato, ai cosiddetti steward, “armati” di ricetrasmittente e pettorine (o divise) di riconoscimento. Sono loro, così come avviene nelle discoteche con i cosiddetti “buttafuori”, a dover assicurare la tranquillità e la sicurezza degli spettatori durante le partite. E solo nei casi più gravi chiamare le forze dell’ordine per un intervento. Non è fantascienza, è esattamente ciò che avviene in Inghilterra, dove avevano un problema molto più grave del nostro (hooligans), e a differenza nostra lo hanno risolto. Ovviamente lo hanno risolto non solo con gli steward e la gestione privata dell’ordine pubblico, ma anche con il pugno di ferro, recidendo alla radice ogni legame tra club e tifoseria violenta (basta rapporti privilegiati, leggi biglietti gratis o trattamenti di favore), e applicando leggi molto severe. In Italia, purtroppo, siamo soliti fare le leggi trovando poi il modo per girarci intorno. Come si vede, quindi, è innanzitutto un discorso di civiltà. Ci salveremo e torneremo a essere un paese civile? Sì, se riusciremo a ribellarci non accettando il misero livello in cui siamo sprofondati. Dipende tutto da noi. E non solo dai nostri politici.

P.S. In merito ai gravi episodi avvenuti a Roma per la finale di Coppa Italia, un caro amico dei Comitati per le Libertà mi chiede: non sarebbe meglio spostare la finale da Roma a Milano?
Non credo sia un problema geografico o “geopolitico”. Sportivamente parlando io sarei per disputarla in uno stadio diverso ogni anno (ovviamente sufficientemente capiente), un po’ come avviene negli Stati Uniti per il Super Bowl o in Europa per la Champions League o l’Europa League. La finale non si gioca sempre nello stesso stadio. Sarebbe bello – e forse anche utile – che avvenisse la stessa cosa anche per la Coppa Italia.

Orlando Sacchelli

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