Un saggio che puntualizza la situazione della Crimea in risposta alle teorie del filorussi
La retorica del Cremlino
L’esposizione dei fatti condotta dal Cremlino sul sostegno pressoché universale ed entusiastico a favore dell’annessione da parte dei cittadini della Crimea si insinua spesso nel discorso occidentale tradizionale. Tale retorica è argomento particolarmente popolare tra i Russlandversteher europei (intenditori della Russia) nei circoli d’affari, tra i saccenti in poltrona e tra i partiti radicali. È anche una verità ovvia presso l’opinione pubblica interna manovrata dal governo della Federazione Russa. Tuttavia, questo argomento ignora l’evidenza fattuale di un’operazione militare segreta che aveva, alla fine del febbraio 2014, preceduto e condizionato la successiva secessione della Crimea dall’Ucraina e l’annessione alla Russia. Inoltre, diversi dettagli relativi al “referendum” organizzato dalla Russia nel marzo 2014 dalla Russia, mettono in discussione il mito secondo cui esisterebbe una schiacciante richiesta da parte dei cittadini della Crimea per una “riunificazione” della penisola alla Russia.
Una diversa realtà
Uno dei primi e più critici rapporti sullo pseudo-referendum è pervenuto proprio da tre rappresentanti del Consiglio per lo Sviluppo della Società Civile e dei diritti Umani presso l’Ufficio del Presidente della Russia . Uno dei membri di questo organismo ufficiale statale russo aveva visitato la Crimea nell’aprile 2014. Sulla base di questo viaggio privato sul campo nella penisola appena annessa, il rapporto del Consiglio Presidenziale Russo, riferendosi agli interlocutori locali, ha stimato che l’affluenza al referendum non era stata dell’83,1 per cento, come riferito ufficialmente dalle autorità installate dal Cremlino in Crimea, ma piuttosto intorno al 30-50 %. Il sostegno all’annessione tra gli elettori della Crimea che hanno votato non era del 96,77%, come riferito dalle autorità controllate da Mosca, ma intorno al 50-60%. Quest’ultima cifra non è lontana dai risultati dei sondaggi d’opinione raccolti prima dell’annessione ed è supportata da analisi che sostengono l’esistenza di un piano per la falsificazione del risultato elettorale e conferma parzialmente le previsioni anche inferiori stimate dal Mejlis dei Tatari di Crimea .
Anche ammettendo un’affluenza considerevolmente più elevata e un maggiore sostegno reale per l’annessione da parte della città di Sebastopoli – base della Flotta Russa del Mar Nero – ciò significherebbe che molto meno di un terzo della popolazione complessiva della Crimea si è effettivamente impegnata a votare a sostegno dell’annessione. E questo è troppo poco per giustificare anche parzialmente un cambiamento così importante nei confini dell’Europa post-bellica. Il rapporto del Consiglio presidenziale russo, inoltre, ha citato esperti di Crimea che hanno affermato come la “… popolazione della Crimea non ha votato tanto per unirsi alla Russia quanto per, stando alle loro parole, la cessazione della “corruzione dilagante e della coazione predatoria degli incaricati di Donetsk [vale a dire i membri del clan Yanukovych inviati in Crimea nel periodo 2010-2013]”. In uno degli ultimi sondaggi attendibili realizzati, a metà Febbraio 2014 , pochi giorni prima che la Crimea fosse occupata da soldati russi senza insegne, solo il 41% degli intervistati della penisola (esclusa la città a statuto speciale di Sebastopoli) sosteneva l’unificazione di Russia e Ucraina in un unico stato.
I vari sondaggi condotti dopo la presa militare e politica russa della penisola sembrano dimostrare un ampio sostegno della Crimea all’annessione. Eppure, per vari motivi, questi dati apparentemente inequivocabili dell’opinione pubblica hanno una validità limitata per via dell’interpretazione derivante dagli eventi della primavera 2014. I risultati dei sondaggi più recenti riflettono parzialmente gli effetti, sui cittadini della Crimea, della stridula e terrorizzante campagna di diffamazione svolta contro l’Ucraina dai mezzi di informazione controllati dal Cremlino – l’unica grande fonte di informazione rimasta dal marzo 2014. Alcuni sondaggi inoltre non affrontano il pregiudizio popolare molto familiare riguardante il sostegno allo status quo – un effetto che in precedenza aveva favorito la continuità della permanenza della penisola in Ucraina anche tra molti di coloro che in qualche modo si riconoscevano in una posizione favorevole a Mosca.
La maggior parte dei sondaggisti post-annessione sembra ignorare poi la considerevole posta in gioco che, per gli intervistati, poteva comportare il fatto di esprimere di fronte a degli stranieri il loro possibile sostegno al ritorno della Crimea sotto il controllo di Kyiv o anche la semplice indifferenza riguardo a questo problema. Dopo la sua annessione da parte della Russia, infatti, la Crimea è diventata il territorio più problematico dell’Europa in termini di protezione dei diritti civili dei cittadini, in particolare per la popolazione indigena dei tartari di Crimea. La disapprovazione dell’annessione è, sia dal punto di vista politica che legale, fortemente stigmatizzata da Mosca e dai suoi luogotenenti nella penisola di Crimea, spietati nella persecuzione dei dissidenti politici e persino dei semplici simpatizzanti per l’Ucraina.
Per tornare agli sviluppi nella primavera del 2014, vi sono poi ulteriori motivi per cui il riferimento allo pseudo-plebiscito organizzato dalla Russia non può servire come giustificazione per un approccio accomodante nei confronti della Russia per quanto concerne l’annessione della Crimea. I preparativi, la procedura e la formulazione del “referendum” sono stati così esplicitamente di parte che questa procedura di voto può servire come un caso da manuale di manipolazione elettorale. Infatti, la data del referendum è stata cambiata due volte e non c’è stato né tempo né opportunità per i cittadini della Crimea di discutere pubblicamente, pluralisticamente e liberamente delle scelte che sarebbero state date loro nel cosiddetto plebiscito del 16 Marzo 2014. Prima del “referendum” l’OSCE aveva spiegato la propria riluttanza a inviare una missione di osservatori per questo processo elettorale affermando che: “[I] esperienze internazionali […] hanno dimostrato come i processi che mirino a modificare assetti costituzionali e discussioni sull’autonomia regionale siano complessi e richiedano tempo, talvolta si estendono per mesi o addirittura per anni […]. Gli adeguamenti politici e giuridici in tali contesti devono essere elaborati in un dialogo inclusivo e strutturato a livello nazionale, regionale e locale. ” Queste condizioni non sono state soddisfatte, motivo per cui l’OSCE e tutte le altre organizzazioni di osservatori elettorali competenti hanno rifiutato di prendervi parte.
Le votazioni si sono svolte in condizioni di pressione psicologica da parte di truppe regolari russe visibili ma senza insegne di riconoscimento (“omini verdi” o “gente amichevole”) e miliziani filo-russi irregolari armati e onnipresenti in tutta la penisola. Curiosamente, al ballottaggio non è stata presentata alcuna opzione per la conservazione dello status quo, vale a dire la Costituzione vigente della Repubblica Autonoma di Crimea dell’Ucraina adottata nel 1998. Gli elettori di Crimea hanno avuto l’opportunità di votare o per aderire alla Russia o per la reintroduzione di una più antica e non valida carta costituzionale della Crimea del 1992. Inoltre, entrambe le scelte erano ambigue nella loro formulazione e nel contenuto.
Una battaglia per la verità storica
La prima opzione prometteva ai cittadini la “riunificazione” della Crimea (vossedinenie) con la Russia. Ma, la Crimea non aveva mai fatto parte di una “Russia” che fosse politicamente separata dal territorio continentale dello stato ucraino post-sovietico, cui la Crimea apparteneva sin dal 1991. La maggior parte dell’attuale territorio dell’Ucraina era stato, più o meno quanto la stessa Crimea, parte integrante sia dell’Impero zarista che dell’Unione Sovietica, cioè di quegli stati che la parola “Russia” nel referendum apparentemente implicava.
Dal 1783 fino al 1991, la Crimea era stata così unita a un impero a volte chiamato “Russia” e mai a un ancora inesistente stato-nazione russo. La maggior parte dell’intero territorio ucraino odierno – e non solo la Crimea – un tempo apparteneva a questo impero tanto quanto la maggior parte dell’area dell’attuale Federazione Russa. Nell’ambito dell’impero zarista, la Crimea apparteneva al Governo Taurico che comprendeva non solo la penisola, ma anche gran parte dell’attuale Ucraina meridionale. Entrambe le repubbliche post-sovietiche, la Federazione russa e l’Ucraina indipendente, sono quindi successori della “Russia” a cui si riferisce la promessa di “riunificazione” del “referendum” del 2014. E siccome la penisola di Crimea non era mai appartenuta a uno stato esclusivamente russo, separato dalla terraferma ucraina prima del 1991, la Crimea non poteva essere separata dalla “Russia” nel 1991 e, pertanto, non poteva essere “ricongiunta” ad essa nel 2014.
Fino al 2014, la leadership post-sovietica della Russia non aveva mai messo in discussione ufficialmente il ruolo della Crimea nell’Ucraina post-sovietica. Piuttosto, lo aveva confermato in diversi accordi. I due trattati più importanti sono stati l’Accordo di Belovezha del 1991 sullo scioglimento dell’Unione Sovietica, sotto Boris Eltsin, e il Trattato di Confine di Stato Russo-Ucraino del 2003, sotto Vladimir Putin. Entrambi gli accordi sono stati poi ratificati dal parlamento russo e promulgati in legge dai presidenti della Russia. Se poi si volesse accettare ancora oggi il “diritto storico” di Mosca sulla Crimea, con riferimento alla sua annessione all’impero zarista del 1783, si dovrebbe concedere anche una altrettanto profondamente radicata giustificazione storica all’odierna Russia per l’annessione di gran parte del territorio dell’attuale Ucraina continentale – colonizzato da Mosca per un tempo pressoché equivalente a quello della penisola del Mar Nero. Inoltre, molti altri territori al di fuori della Federazione Russa odierna potrebbero essere pretesi da Mosca – poiché appartenevano, per un tempo analogo a quello della Crimea, alla stessa “Russia”, a cui si riferisce lo pseudo-referendum del 2014.
La seconda opzione del “referendum”, che prometteva un ritorno alla costituzione del 1992, è stata poi formulata in modo ancora più confuso, poiché c’erano state due costituzioni in vigore quell’anno in Crimea. Gli elettori pertanto sono stati – intenzionalmente o accidentalmente – lasciati all’oscuro su quale di queste due alternative all’annessione, nell’opportunità alternativa del “referendum”, la loro scelta avrebbe dovuto fare riferimento in realtà: alla più confederale Costituzione della Crimea del maggio 1992 o alla più federale Costituzione del settembre 1992? Se questa seconda opzione avesse vinto al “referendum”, sarebbe stata lasciata ai detentori del potere locale la scelta tra queste due diverse leggi fondamentali. Si può sospettare persino che questa seconda opzione non ortodossa – piuttosto che volta all’alternativa più normale di mantenere semplicemente lo status quo – fosse stata presentata intenzionalmente al fine di aumentare le possibilità di consenso per l’unica opzione rimasta: l’annessione alla Russia. La scelta che ai cittadini di Crimea è stata proposta nel marzo 2014 non era tanto quella tra la Russia e l’Ucraina ma piuttosto una decisione tra la chiarezza e il limbo.
Nessuna di queste informazioni, infine, risulta eccezionale, segreta o originale. I fatti sopra elencati e una serie di altri aspetti acclaranti questi eventi sono ben noti in Ucraina e tra gli esperti di accademie, governi, mass-media e società civili occidentali. Tuttavia, molti osservatori occidentali che commentano attivamente il passato, l’annessione e il futuro della Crimea sembrano non conoscere alcuni o addirittura la maggior parte di questi fatti. Mentre risulta ancora molto diffusa ed accetta, la retorica apologetica del Cremlino su un referendum, forse un po’ approssimativamente avviato, ma che alla fine ha portato a una decisione sostenuta presumibilmente dalla stragrande maggioranza del popolo della Crimea.
Il dott. Andreas Umland è Senior Research Fellow presso the Institute for Euro-Atlantic Cooperation (Istituto per la Cooperazione Euro-Atlantica) di Kyiv ed è editore della collana “Soviet and Post-Soviet Politics and Society” pubblicata da ibidem Press a Stoccarda e distribuita dalla Columbia University Press Columbia University Press di New York.
Per chi volesse approfondire:
Eleanor Knott (London School of Economics), Dmytro Shulga (International Renaissance Foundation Kyiv) e Frank Golczewski (Università di Amburgo) hanno reso utili commenti su una precedente bozza di questo testo. Esso è apparso per la prima volta nel “Wider Europe Forum” del Consiglio Europeo sulle Relazioni Estere. Per un significativo studio recente sul tema pubblicato dopo la redazione di questo articolo, si veda: Gwendolyn Sasse, “Terra Incognita: The public mood in Crimea,” ZOiS Report 3/2017.
Traduzione: EuromaidanIT – Euromaidan Italy-Kyiv
di Andreas Umland