La depressione di Sergio Cusani

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Sergio Cusani un geniale depresso a cui si deve uno dei pochi tentativi di far nascere in Italia una terza via tra lo Stato canaglia e un capitalismo predatorio: la nascita di Enimont, fusione di Eni e Montedison fatta assieme a Gardini

“Scatta l’ora legale. E’ panico tra i socialisti”: battuta efficacissima quella di Indro Montanelli, ma nulla di più. Il lungimirante sostituto procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo Roberto Scarpinato, nel denunciare la schizofrenia del passaggio da un eccesso di “regulation sovietica” alla privatizzazione dei profitti e/o socializzazione delle perdite consistita nella svendita privatistica dei beni pubblici, deve chiedere il copyright a Sergio Cusani che denunciò prima di lui il fallito matrimonio tra Stato regolatore e libero mercato all’origine dello spappolamento attuale dell’assetto socioeconomico. Ci fu una grande occasione sprecata proprio all’inizio degli Anni Novanta in pieno metabolismo della caduta del Muro (è il cambiamento che fa paura, vedi Freud):già lo scrissi su Libertates in un articolo del 15 giugno 2014, grazie all’ottimo lavoro di squadra del duo Cusani-Gardini stava maturando la prima “società mista paritetica con l’80% delle azioni equamente divise tra Eni e Montedison e il restante 20% sul mercato” (da Paradiso Ior); dimostrando che c’era tertium datur tra Stato Canaglia (vedi Piero Ostellino) e libero mercato predatorio. Un fatto inedito in Italia.
L’opposizione della cattolicissima Democrazia Cristiana mandò all’aria la “joint venture” Eni-Montedison. Affidiamoci al giudizio severo espresso dai giudici della V sezione penale del Tribunale di Milano: mentre sembrava davvero che in “…una situazione caratterizzata da una costante crescita degli utili del comparto chimico dell’Eni (61 miliardi nel 1987, 487 miliardi nel 1988) nel gennaio/febbraio del 1988 assumevano caratteri di concretezza le trattative per la creazione di un polo chimico tra l’ente, la cui presidenza era allora ricoperta dal prof. Franco Reviglio, e la Montedison spa, di cui era presidente Raul Gardini, avente quale finalità quella di “razionalizzare” e potenziare la chimica italiana”, accadde proprio di tutto. Denuncia il Tribunale di Milano disvelando l’attacco invidioso del “socialismo reale” all’italiana al sogno di una chimica indipendente: “La corsa di Gardini alla “privatizzazione” di Enimont era stata in varie forme ostacolata dalla parte pubblica e da forze politiche ed istituzionali, le quali non intendevano rinunciare al controllo sugli enti che gestivano la chimica italiana in considerazione dei rilevantissimi interessi-di natura economica, politica, sindacale-che ruotavano attorno ad essi. Nel corso dell’esame delle fasi salienti della vicenda Enimont si è infine rilevato come la corsa di Gardini avesse subito una drastica battuta d’arresto con l’emissione, in data 9 ottobre 1990, da parte del presidente del Tribunale di Milano, Diego Curtò, su richiesta dell’Eni, del provvedimento di “fermo provvisorio” delle azioni Enimont e con la nomina, in qualità di custode, dell’avvocato Vincenzo Palladino”. Non si trattò di corruzione tout court, ma di concussione esercitata dal sistema politico gangsteristico in quota Dc nei confronti d’un gruppo industriale di primaria grandezza: “l’esigenza di disporre di un’ingente provvista extrabilancio (di circa 152 miliardi di lire) era sorta nella fase finale della vicenda Enimont e rispondeva al fine di corrispondere in forma occulta somme di rilevante entità al sistema politico, in previsione dello scioglimento della joint-venture Eni-Montedison”.
Con tanti saluti a ciò che restava del libero mercato. Ed ecco perché oggi il dott. Scarpinato-nel quadro del fallimento dell’“esperienza della via italiana al modello renano”-arriva a dedurne che la “…seconda tipologia di privatizzazioni è consistita nel portare al collasso le industrie pubbliche, mediante gestioni predatorie e clientelari, concentrando poi tutte le passività in bad companies (cattive compagnie, ndr) il cui costo è accollato alla collettività, mentre il patrimonio aziendale attivo è riversato in nuove compagnie che vengono privatizzate, secondo l’aureo principio della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite…L’amara esperienza delle privatizzazioni imposte dall’Fmi in paesi dell’America Latina è un precedente storico illuminante”. Ma, caro Scarpinato, la deregulation gattopardesca all’italiana cominciò con lo smantellamento del Rinascimento-contraddittorio come tutti i rinascimenti-intrapreso da Raul Gardini e Sergio Cusani, due personalità fuori dal comune. Tuttavia c’è un’altra ragione-forse sconosciuta ai più-del perché, al fondo, del fallimento della joint-venture Eni-Montedison che avrebbe cambiato per sempre i connotati del capitalismo italiano, e sta nella patologia di cui soffriva Cusani: la “sindrome della castrazione”, secondo il punto di vista della scuola lacaniana, cioè il rifiuto autolesionistico del godimento dei propri successi. Cusani era un intellettuale caratterizzato dall’odio verso se stesso, e questo, probabilmente, lo porterà nelle “sabbie mobili” di Antonio Di Pietro, il Nikita Krusciov della magistratura italiana che con lui usò il bastone e con Craxi la carota. Chi fece una splendida analisi della psicologia dell’ex contestatore studentesco del ’68 Cusani è stato il re dei play-boys genovesi Beppe Piroddi, ereditiere di night-club, tutt’altro che superficiale ed anzi uomo di grande acume: “Estremamente intelligente. Dotato di grandissima sensibilità. Capace di capire in qualsiasi momento in quali acque si stesse muovendo. Dotato di un intuito naturale nel saper capire le situazioni. Colto, ma non come e quanto dice di essere, né come e quanto vorrebbe far sembrare di essere. Ricco di queste doti, ma con un handicap esistenziale di non poco conto: perfino quando le cose andavano bene, era depresso, non era soddisfatto, non si sentiva né tranquillo né appagato. Questo era il Sergio Cusani che ho conosciuto, che mi piaceva, con il quale ho diviso molti anni della mia vita professionale, fino al giorno del suo tracollo. Un tracollo che in parte si è riverberato dannosamente su di me procurandomi parecchi guai di tipo economico. L’ho sempre definito “un gesuita laico”. Perché? Sergio, quando mi parlava, riusciva a far affiorare in me grandi complessi di colpa… quando ero bambino e andavo a scuola dai gesuiti quei religiosi avevano la stessa tecnica di Cusani: riuscivano a far affiorare nel tuo animo dei sensi di colpa profondi che ti tormentavano a lungo e ti facevano soffrire… La caratteristica che lo rendeva unico, che ho sempre osservato con curiosità studiando e analizzando il suo comportamento era proprio questa: Cusani si trovava bene soprattutto nelle difficoltà, si sentiva a proprio agio in mezzo ai problemi, gli piaceva avere degli ostacoli sul suo cammino, desiderava vivere senza alcuna certezza e avendo sempre di fronte a sé l’imprevisto.
Ho detto poco fa che quando le cose andavano tutte e sempre bene, egli non si sentiva assolutamente soddisfatto. Mi dicono fosse così anche al tempo dell’Università…
Non sapeva gustare, apprezzare, godere nemmeno un momento di serenità, di tranquillità, di spensieratezza. Sembrava essere e vivere come i generali che passano la loro esistenza in perenne stato di preallarme come se da un momento all’altro dovesse scoppiare la guerra. Indossano la tuta mimetica e gli scarponi, hanno un’arma alla cintola con il colpo in canna, sono in perenne stato di emergenza, pronti a scattare, giorno e notte, in attesa di un ordine o di un segnale di allarme che non arriva mai. Questa loro condizione si infila nei loro cervelli e li porta a non essere capaci, a non riuscire ad assaporare nemmeno un momento della loro esistenza quotidiana, della loro “normalità”… Cusani sembrava in perenne attesa del nemico in arrivo, era come la sentinella sulle mura che scruta l’orizzonte e trascorre la vita in attesa di vedere una traccia dell’arrivo dell’esercito nemico. Non sono uno psichiatra e quindi non sono legato al segreto professionale. Per questo mi piace raccontare, ricostruire, far conoscere la mentalità del tutto contorta, geniale ma indubbiamente contorta, di un uomo singolare come Sergio Cusani:per lui le cose non possono, non devono andare
bene:è inconcepibile…”. Cusani portava su di sé i segni della vittoria, essendo stato un (quasi) vincente. Enigmatico, impenetrabile, magrissimo e affascinante, kafkiano soprattutto. Come quando chiese un pacchetto di Multifilter al bar della stazione di Recco nell’agosto 2007. Lo conobbi in quell’occasione. “Ma lei è Ser…”-“Aimè, sono io”, rispose con voce melanconica. “E’ stato l’unico a pagare”, gli dissi. “Non è un fatto di cui vantarsi”.

Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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