Ad agosto è stata varata con grande impegno mediatico la norma che avrebbe dovuto colpire con una tassa “ad personam” i grandi profitti che le banche hanno fatto lo scorso anno.
Un provvedimento di taglio populista e dirigista. La scelta di imporre una tassazione particolarmente elevata in caso di utili monstre è legittima anche se non condivisibile dal punto di vista economico: stabilisco da ora che un utile superiore, ad esempio, al 20% del giro d’affari venga tassato all’80% è un provvedimento che riduce la propensione a fare utili e spinge a trovare modalità per nasconderli, ma permette alle imprese di pianificare il futuro.
Colpire invece con una tassazione extra a posteriori è un provvedimento populista e del peggior impatto dirigista: decido io se e quanto puoi guadagnare, intervenendo pesantemente nella gestione di un impresa.
Ma, in concreto, a questo provvedimento che avrebbe dovuto rendere allo Stato almeno 2 miliardi e che ha suscitato lo sconcerto e l’apprensione nei mercati esteri è seguita una retromarcia che è stata un ripensamento e una figuraccia: le banche interessate anziché pagare la tassa sugli extraprofitti potranno mettere 2,5 volte di quanto dovuto a riserva non distribuibile.
Detto in altre parole: le banche potranno mettere questo importo a riserva senza distribuirlo agli azionisti e senza pagare un euro di tassa. Ovvio che tutte le banche all’unisono abbiano scelto questa strada perché così versano comunque un cospicuo dividendo agli azionisti e mettono fieno in cascina: lo avrebbero fatto comunque.
Così i nostri populisti che si sono affrettati a proporre la tassa come un atto di giustizia hanno ottenuto un duplice risultato: il discredito sui mercati esteri e 0 euro di incassi.
Una prova ulteriore di come proposte volte solamente a conquistare consensi e voti portano solo danni e figuracce.
di Angelo Gazzaniga